apocalypto regia di Mel Gibson USA 2006
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apocalypto (2006)

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Titolo Originale: APOCALYPTO

RegiaMel Gibson

InterpretiDalia Hernandez, Mayra Serbulo, Gerardo Taracena, Raoul Trujillo, Rudy Youngblood

Durata: h 2.19
NazionalitàUSA 2006
Genereavventura
Al cinema nel Gennaio 2007

•  Altri film di Mel Gibson

Trama del film Apocalypto

Negli anni del declino del regno Maya, i governanti sono convinti che per tornare a prosperare basterà costruire nuovi templi e fare numerosi sacrifici umani. Ma Zampa di giaguaro, un giovane selezionato essere ucciso sull'altare, decide di tentare di sfuggire al suo destino...

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Voti e commenti su Apocalypto, 377 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  08/01/2007 16:45:39
   6½ / 10
"un giorno il mondo dirà: non esisto più e non ho più nulla da dire"

Il 2006 si chiude con l'esecuzione di Saddam Hussein e l'anno nuovo si apre con le immagini del nuovo film di Gibson: fatalià o coincidenza?
Davanti a una massa che ha interiorizzato. con passiva neutralità, la violenza medianica del mondo di oggi, è facile obiettare quanto sia facile abusare di certi schemi (e Gibson ne abusa) per conquistare il pubblico.
Non ha alcuna intenzione di provocarlo, Gibson, e in questo modo sa già di averci negato il supporto emozionale che non abbiamo quasi piu'.
L'errore che commettiamo (noi) è di continuare a soffermarci sull'uso della violenza cinematografica come se fossimo del tutto astrusi agli stessi codici che vediamo in altri campi.
Se un telegiornale trascorre anni a illuminarci minuziosamente sulle prove dei fatti di una matricida, se assistiamo a impiccagioni quasi in diretta all'ora di cena e se (anche per questo) non c'importa nulla sapere che un barbone è morto bruciato in un incendio, i nostri beneamati (?) parlamentari farebbero bene a tacere: che sarà mai, quest'espressione tangibile (e tutto sommato comprensibile) di censura pro-minori quando i tg di stato vivono del linguaggio e della recidiva fame della morte?
Un bisogno disperato di verginità tardiva davanti alla corrosione mentale della nostra generazione?

Cronaca di un commento annunciato: mi ero preparato un'oceano di insulti (forse) a disprezzare tutti coloro che all'estetismo utopico di Malick (per inciso uno dei pochi, veri Capolavori del cinema degli ultimi anni, cfr. The New World) preferiscono la rozza e "sovversiva" linea stilistica di Gibson.
La media piuttosto alta parla chiaramente: anch'io avevo riempito pagine e pagine nel tentativo di metabolizzare quella creatura indifendibile che fu "The passion of Christ", atroce rielaborazione mediologica del senso di colpa (non neutrale, ma di massa), decontestualizzato dalla tradizione solo per la sua apparente "diversità anarchica", ma in realtà privo di valore artistico.
Il successo planetario la dice lunga sulla condizione visiva a cui siamo sottoposti da tempo, che non è mai analitica e teologica, ma soprattutto legata al concetto Carnale della truculenza, all'esibizione sfacciata di un pensiero che poteva essere nobile.
Io non credo che Gibson non abbia la capacità di affrontarlo, e lo dimostra parzialmente con questo film. Che, per inciso, è superiore (e non di poco) alle attese, ma è altrettanto fautore di un integralismo ideologico forse sincero ma monolitico e monotematico nella sua essenza.
E' chiaro che Gibson è l'anti-Malick per eccellenza: quando descrive la sofferenza della civiltà Maya egli "uccide" le nostre stanche parabole mistico-sognanti e l'ossessione (o speranza spirituale) di (credere di) sapere dell'esistenza di una civiltà anche serena, secolare, lontanissima da noi ma vicinissima al nostro ideale di esistenza terrena (non a caso. l'autore adotta un linguaggio Maya che esibisce le nostre dipendenze moderne e diurne, cfr. la crisi di coppia, la fertilità, lo spirito del "branco", l'affetto verso i figli, l'amore per la propria moglie etc.).
La prima mezz'ora del film è di gran lunga la migliore: la violenza è solo un bisogno di sopravvivenza (cfr. le scene di caccia), un tribalismo necessario che passa dall'"alba dell'uomo" di Kubrick all'espressione piu' "pura" dell'epilogo del Mondo fino alla trasformazione in un universo inconsapevole che perde tutte le sue radici: in un certo senso "apocalypto", col suo titolo heavy-metal, racconta LA FINE DI UN'EPOCA.

E' altrettanto vero che, senza i parametri gore e e le lacerazioni carnali del suo cinema, questo film non è altro che la variazione "estrema" di una fra le espressioni piu' frequenti del cinema di oggi, la ricerca dell'identità estinta e dell'appartenenza, che è miraggio di malick, ma anche del cinema patinato dell'ultimo Spielberg, di Spiderman, di "children of men" di Cuaron, e di tanti altri ancora.

Insomma, il cinema di Gibson è una semplice variazione di un tema sfruttatissimo.

Il problema è che è difficile desistergli: da detrattore, puoi "solo" riconoscergli l'abilità di rivalutare il trash o il cinema antologico degli anni sessanta e settanta, ma da ammiratore non puoi negare quanto la forza delle immagini sia tutt'altro che relativa

La sequenza della strage al villaggio da parte dei guerrieri Holcane (persino ineffabili nella loro ferocia, quasi una caricatura protopunk, post-moderna) sembra a tutti gli effetti un plagio di "soldato blu" il primo western che racconto' con inaudita ferocia le efferatezze territoriali dei soldati americani nei confronti dei nativi americani.

Da allora, la "macchina da guerra" di Gibson non si ferma piu': con qualche luce espressiva (l'eclisse di sole) e abbondanza di steroidi ai limiti del grottesco, in un gioco compiaciuto e a tratti irritante che ama, come sempre, sacrificare lo stile a favore di una beffarda integrità alla grezza attitudine dei b-movies.
I Maya prigionieri-bondage non sono altro che la metabolizzazione dei fantasmi di Gibson, una contiguità con i "poveri Cristi" lacerati verso il cammino della disperazione, o della lacerazione Sacra e Profana.

Per quanto interessante il personaggio di Zampa di Giaguaro,l'unico Maya ad "aver paura" e proprio per questo a vincerla nel nome dell'amore per la sua donna e della forza di se', il mito del Super-Io che vince ad ogni costo puzza di retorica, ma la realtà intrigante è che Gibson non sembra preoccuparsene affatto.
Esaurita la spinta teoretica delle prime sequenze, Gibson si affida al linguaggio delle immagini, a quella recidiva coltre di morte e dolore che ci vede spettatori passivi o remissivi.

Un film del genere andrebbe stroncato senza remore, invece non si puo': il primo incontro con le nuove civiltà sancisce la paura ("tu hai avuto paura, figlio mio"), il secondo la predestinazione e la cronaca di un'evento prestabilito (spoiler -)

Intelligente l'uso dei cromatismi (i prigionieri dipinti di blu, il bianco della terra, il rosso del sangue che cade dalle foglie)

In fondo Gibson è come noi, lacerato dall'oscurità del mondo, e in conflitto perenne tra misticismo e aberrazione umana.

Per me, che avevo espresso parere favorevole davanti a un film mediocre (ma spassoso nella sua cialtroneria) come l'ultimo Scott. questo film esprime un bisogno negato di dissenso.

A volte si cercano rassicurazioni dove non si possono trovare, e non è detto che siano migliori

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12 risposte al commento
Ultima risposta 09/01/2007 20.42.49
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