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Può sembrare paradossale ma la Guerra Fredda, se vista con gli occhi di oggi, può sembrare una coperta calda. Il motivo in fondo è semplice: due blocchi contrapposti con aree d'influenza ben definite e guerre reciproche il più delle volte condotte per procura, con una potenza nucleare sterminata per ciascuno e capace non di distruggere un mondo, ma tantissimi mondi. Allo stesso tempo, proprio tale capacità distruttiva era anche dissuasiva, cioé la politica di dissuasione era realmente incisiva e si risolveva con un'esposizione della propria potenza e quasi mai con veri e propri rischi. Il "quasi" è d'obbligo perché con la crisi dei missili a Cuba ci si è andati vicini.
"Alla fine della Guerra Fredda le potenze mondiali concordarono sulla descalation nucleare. Oggi quell'era è terminata"
Si apre con questa dichiarazione il film A House of Dynamite di Kathryn Bigelow che in questa circostanza cerca di portarci alla cruda realtà, una possibile realtà non proprio campata in aria, con uno scenario proposto che gradualmente toglie quel senso di falsa sicurezza finora costruito dalla fine della Guerra Fredda. Quello di una difesa perfetta ed impenetrabile. Dopotutto nel mondo attuale non c'è più la logica dei blocchi contrapposti, ma diversi attori che, sia pure in misura minore rispetto ad Usa e Russia, hanno in loro possesso un potenziale più che sufficiente per creare un'escalation che a sua volta vedrebbero il coinvolgimento di attori più importanti.
A House of Dynamite può ricordare il Dottor Stranamore, ma non possiede il tono grottesco del film di Kubrick, dove quest'ultimo alternava la narrazione dalla War Room, alla base del Generale Ripper, all'aereo americano che sgancerà la bomba. Kubrick avvicendava i vari contesti dove la Bigelow li riduce a tre blocchi distinti e separati che descrivono i fatidici 19 minuti all'impatto di un missile nucleare di cui non si sa dove andrà a colpire e di cui, soprattutto, non è dato sapere la provenienza. Questi tre blocchi narrativi che raccontano questi 19 minuti ovviamente sono dilatati all'inverosimile, ma utilissimo ad una narrazione che riesce ad innescare e mantenere una tensione altissima.
Tre blocchi narrativi che espongono tre punti di osservazione per una situazione di crisi di difficilissima gestione: le centrali operative che vedono per prime il missile, cercando di attuare le contromisure. Poi ci sono i consulenti politici e vertici militari che valutano le varie opzioni di risposta ed infine i vertici politici con a capo il Segretario della Difesa ed il Presidente degli Stati Uniti a cui spetta l'ultima parola. La decisione finale da prendere.
La Bigelow demolisce appunto tutto un sistema difensivo apparentemente perfetto, ma non si può non notare l'ironia, piuttosto sottotraccia invero, di tantissime sigle ed acronimi che diventano sempre più numerosi ed incomprensibili e di cui non si capisce bene la loro precisa finalità e l'interconnessione reciproca con gli altri sottosistemi. Tutto ciò si nota fin da subito perché l'informazione principale viene a mancare, cioè chi ha lanciato effettivamente quel missile, perlomeno per chiarire fin da subito quale possa essere il nemico. Si formulano ipotesi sulla Russia o sulla Corea Del Nord, ma non ci sono risposte certe che in teoria dovrebbero essere soddisfatte. L'apparato nel suo complesso appare chiaramente imperfetto e la gestione di tale apparato è gestito da esseri umani che vanno inevitabilmente nel panico e le decisioni sono a volte dettate dalla paura specialmente quando le contromisure dei missili intercettatori falliscono miseramente il loro obiettivo ed il missile entra in territorio americano per colpire, dopo aver ipotizzato vari bersagli, secondo la traiettoria, la città di Chicago. La constatazione dell'imperfezione dei sistemi difensivi innesca delle riflessioni con una certa dose di umorismo nerissimo. Gli intercettatori potevano neutralizzare il missile con una possibilità del 61%. Stiamo parlando di poco più di un testa o croce, con tanti saluti ai miliardi di dollari stanziati per le spese militari, come sottolineato dal Segretario della Difesa, quest'ultimo da poco vedovo e con una figlia che risiede a Chicago ed impossibilito dall'aiutarla verso una fuga. Verso dove poi…
A House of Dynamite può essere considerato speculare ad un suo film precedente come Zero Dark Thirty. In quel caso era al centro di tutto l'operatività di tutto il progetto. Si stava sul campo per dare la caccia ad Osama Bin Laden e ne descriveva tutte le fasi di quell'operazione. Il lato "decisionale", cioè quello più alto era molto marginale se non addirittura tenuto fuori dal contesto. Invece nel caso di questo suo ultimo film è tale lato "decisionale" che è al centro di tutto, diviso in tre livelli distinti sempre più crescenti, che raccontano questa debacle dell'ego umano. Il Re è nudo, di fronte ad una scelta che si divide nell'accettare un disastro annunciato (la distruzione di Chicago) senza reagire e quindi pressoché una dichiarazione di resa oppure, fermo restando sempre la perdita della città, reagire contro un nemico invisibile che a questo punto può essere buona parte del mondo. Di conseguenza la distruzione della civiltà umana.
Una casa piena di dinamite, un titolo ben indovinato. Una casa bella, piena di comfort, anche piena di esplosivi che vediamo ogni giorno, ma offrono solo un senso di falsa sicurezza che la Bigelow demolisce in maniera sistematica.
La regista stessa ha raccontato in conferenza stampa dopo la proiezione del film, che da bambina a scuola si esercitavano ogni tanto in classe a mettersi accucciati sotto i banchi di classe in caso di esplosione nucleare. In effetti, a distanza di decenni e comunque in un contesto di Guerra Fredda, dove la paura della bomba era tangibile, fa sorridere. Tuttavia, con le debite proporzioni, la sostanza, decenni dopo, non è così lontanissima se ci si riflette bene.
Certamente questo film non si può affermare che sia originale perché descrive uno scenario di crisi come in tante altre pellicole passate. Tuttavia non è tanto il "cosa" racconta o le tematiche messe sul tavolo. Bisogna tenere presente maggiormente il "come" lo racconta e la regista americana a livello sia visivo e soprattutto narrativo come in questo film specifico ci riesce benissimo. Costruisce uno scenario improbabile ma con un ottima resa realistica condensando poco tempo (19 minuti) in un film di quasi due ore dove personalmente non mi sono mai domandato quanto tempo fosse trascorso di quei 19 minuti.
La tensione è sempre tenuta ad un livello altissimo, come altissimo è il livello del cast di attori che riesce a caratterizzare bene i propri personaggi con pochi e ben distinti tratti, senza risultare parodistici o troppo schematici. Molti di loro infatti sono accomunati da caratteri forti ma che di fronte all'impatto quasi imminente traspare quel lato umano di ansia, angoscia e paura. Alcuni di loro sfociano nel panico o nel suicidio, consci di una via d'uscita che non esiste. Senza fare ovviamente spoiler, ho condiviso in pieno la scelta di questo finale che esprime nella maniera migliore il concetto che molto probabilmente la Bigelow vuole trasmettere al pubblico. Basta osservare la sua filmografia per constatare il livello eccellente dei suoi film ed a distanza di otto anni da Detroit, la classe di questa regista rimane sempre cristallina.
"Un proiettile per colpire un proiettile"
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 10/10/2025 18.05.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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