Recensione la scomparsa di alice creed regia di J Blakeson Gran Bretagna 2009
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Recensione la scomparsa di alice creed (2009)

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locandina del film LA SCOMPARSA DI ALICE CREED

Immagine tratta dal film LA SCOMPARSA DI ALICE CREED

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Immagine tratta dal film LA SCOMPARSA DI ALICE CREED
 

Victor (Eddie Marsan) e Danny (Martin Compston), due criminali conosciutisi in carcere, rapiscono la giovane Alice Creed (Gemma Arterton), imprigionandola in un anonimo appartamento, che hanno precedentemente adattato all'uopo, insonorizzandolo, oscurandone le finestre e fortificandone le porte. Il loro piano è semplice: riscuotere il riscatto e fuggire senza fare nessun male alla ragazza.
Ma ben presto le cose si complicano a causa dei comportamenti ambigui e maldestri di Danny.

Il primo lungometraggio scritto e diretto dall'inglese J. Blakeson è un film dalla struttura apparentemente elementare, ma che cela una scrittura complessa e di buon livello. La pellicola presenta pochissimi esterni e si svolge quasi integralmente all'interno dell'appartamento adibito a prigione. Questa scelta di scrittura e di regia è caduta anche su alcune scene, come quella del rapimento che è ripresa sostanzialmente dall'interno del furgone in cui la vittima viene rinchiusa, che avrebbero potuto essere filmate in modo assai differente. Le motivazioni dell'autore sono facilmente intuibili: da un lato si tratta di un'economia narrativa e temporale (per esempio la citata scena del rapimento dura una manciata di secondi), che ben si sposa con la politica del film a basso costo; d'altro canto si coniuga perfettamente con i principi delle celebri tre Unità Aristoteliche che in questo film sono quasi perfettamente rispettate.

"La Scomparsa di Alice Creed" è prima di tutto un omaggio al cinema indipendente inglese degli anni ottanta e novanta che sfornava thriller a basso costo, con pochissimi attori e con pochissimi ambienti, ma ricchi di storie solide e dall'intreccio narrativo forte.
Blakeson osserva scrupolosamente l'insegnamento dell'intramontabile Alfred Hitchcock, così come è stato ben spiegato da François Truffaut nel suo libro-intervista al celebre regista britannico, secondo cui la violenza e l'amore si fondono, perdendosi l'una nell'altro, e quindi un regista deve "filmare le scene di violenza come se fossero scene d'amore e viceversa".
Appare subito evidente che l'intreccio ordito da Blakeson altro non è che la parafrasi di un tragico ménage à trois, in cui però l'autore non manca di inserire spunti di originalità e di singolare inversione dei ruoli. Si tratta di un amore sempre in bilico fra la passione e la violenza, fra la dominazione e il desiderio di sentirsi dominati, fra la necessità di prendersi cura dell'altro e di soddisfarne i bisogni e la necessità di ricevere le medesime attenzioni. Esemplificativo è il momento in cui Danny domanda a Victor di comandarlo a bacchetta, ma anche le scene relative alla nutrizione di Alice e al soddisfacimento dei suoi bisogni fisici.
L'intreccio che unisce i personaggi non è affettivo, ma carnale e si estrinseca attraverso un erotismo sempre presente sia nelle loro complicità, sia nei loro tradimenti.
È impossibile, poi, non notare alcune analogie, che non sembrano voler essere né citazioni né omaggi, con il film "Frenzy"(1972) ed in particolare con lo strangolamento di Brenda Blaney (Barbara Leigh- Hunt), che viene mutuato da Blakeson anche se senza la cravatta e con una singolare originalità.

Se Hitchcock è il principale referente narrativo di Blakeson, non è il solo. Un altro autore di riferimento di questa pellicola è indubbiamente Roman Polanski, che ha spesso saputo architettare e sviluppare storie avvincenti e complesse ambientate in spazi circoscritti e angusti, o in luoghi che comunque delineassero un perimetro preciso ed invalicabile come le mura di una prigione, infondendo nello spettatore un forte senso di claustrofobia. Nella filmografia di Polanski la pellicola di maggior riferimento appare essere il suo film d'esordio "Il Coltello nell'Acqua" (1962) di cui si mutua il triangolo senza però conservarne l'impronta edipica né gli aspetti metaforici, psicologici e sociali.

Blakeson dimostra una notevole capacità narrativa capace d'incuriosire lo spettatore, che però difficilmente si sentirà davvero coinvolto nella vicenda narrata. Si pensi alla tensione che si crea con la presenza di un semplice bossolo di proiettile e al crescente clima claustrofobico e paranoico che permea l'intera pellicola. Il rapporto che lega i tre personaggi diviene origine di una serie di colpi di scena indovinati ed avvincenti, che favoriscono la progressione narrativa e lo svolgimento dell'azione. Tuttavia, è proprio nell'ambiguità del personaggio di Danny che la narrazione diventa più forte ed interessante per lo spettatore, ma, al contempo, lo allontana da un qualsiasi coinvolgimento a causa di una certa improbabilità delle sue scelte e delle sue azioni. In tal senso l'escamotage narrativo si è dimostrato una lama a doppio taglio.

L'epilogo della vicenda spesso è il fattore che designa il successo o meno di un film.
Purtroppo "La scomparsa di Alice Creed" scivola in un finale tanto prevedibile, quanto detestabile ed evitabile, che rovina qualsiasi spunto di originalità precedentemente introdotto dall'autore. E questo è un vero peccato poiché il film si dimostra un'opera di discreto livello anche se dal sapore squisitamente demodé.
Inoltre, se Blakeson ha ben imparato e ben mutuato alcune delle caratteristiche narrative del cinema di Alfred Hitchcock e di quello di Roman Polanski, non ne ha neppure in minima parte appreso la sapiente narrazione visiva che questi autori hanno saputo infondere nelle proprie opere. La regia, infatti, è piuttosto scolastica e scevra di guizzi creativi. Anche alcune delle inquadrature un poco più azzardate, come ad esempio quella fatta attraverso l'acqua del cesso in cui è caduto il bossolo, hanno un sapore di già visto (nella fattispecie il referente è "Una Pura Formalità" (1994) di Giuseppe Tornatore) e non infondono alla pellicola nessuna ulteriore forza narrativa o anche meramente stilistica.

Oltre a una solida capacità registica, ne "La Scomparsa di Alice Creed" manca un vero approfondimento psicologico dei personaggi e un qualsiasi messaggio sotteso e metaforico da trasmettere. Si tratta di una film che, quando è finito e sullo schermo scorrono i titoli di coda, non lascia assolutamente niente allo spettatore.

Gli interpreti sono molto bravi e convincenti. Tuttavia, l'assenza di un profilo psicologico dettagliato e ben delineato rende i personaggi piuttosto piatti e le loro azioni e reazioni non sempre plausibili.
Questa carenza impoverisce inevitabilmente anche la prova, la buona prova, dei tre attori.

Malgrado tutti questi difetti e tenuto conto dei limiti imposti dal basso costo di produzione, "La Scomparsa di Alice Creed" è un buon film d'esordio, capace di intrattenere il pubblico e di fargli desiderare di seguire le sorti dei personaggi fino all'epilogo della vicenda. Auspicando che Blakeson affini le proprie capacità narrative e stilistiche, gli si augura che questo film sia solo la prima di una lunga serie di opere.
Complessivamente la visione è più adatta al mercato dell'home-video che a quello cinematografico.

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 22/09/2010 17.32.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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