Recensione cuore selvaggio regia di David Lynch USA 1990
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Recensione cuore selvaggio (1990)

Voto Visitatori:   7,19 / 10 (122 voti)7,19Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Palma d'oro
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Palma d'oro
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locandina del film CUORE SELVAGGIO

Immagine tratta dal film CUORE SELVAGGIO

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Immagine tratta dal film CUORE SELVAGGIO
 

Prima di procedere alla lettura, si avvisa il lettore che la recensione potrebbe contenere elementi di spoiler.

"Avrei voluto veder accadere cose nella mia vita. Sapevo che niente era come sembrava, ma non riuscivo a trovarne una prova."
David Lynch

Anno 1990: la tivù americana viene sconvolta dalla messa in onda dell'episodio pilota di una nuova serie televisiva, trasmessa dalla rete ABC e recante la firma di Mark Frost e del due volte candidato al premio Oscar ("The Elephant Man" nel 1980 e "Velluto Blu" nel 1986) David Lynch, uno dei più originali cineasti degli ultimi vent'anni di cinema americano.
La serie di cui parliamo è "Twin Peaks" (distribuita in Italia con il titolo "I Segreti di Twin Peaks"), che inaugurò un tormentone a livello planetario ("Chi ha ucciso Laura Palmer?") e che portò per la prima volta in televisione una tematica cara al suo ideatore: "Nulla è come sembra, l'apparente nasconde quasi sempre l'inimmaginabile".
Il telefilm, dopo un inizio folgorante, subì un sostanziale calo degli ascolti, soprattutto durante la messa in onda della seconda stagione che, pur mantenendosi su livelli molto alti, non mantiene le aspettative artistiche e qualitative della prima.
Il motivo non è difficilissimo da indovinare: con il passare del tempo David Lynch si era allontanato dalla serie (pur senza abbandonarla del tutto), sia per diverbi con la produzione che per portare avanti progetti personali: "Industrial Symphony No. 1" (in collaborazione con Angelo Badalamenti), spettacolo musicale presentato per la prima volta, a teatro, il 10 novembre 1989, e "Cuore Selvaggio", presentato per la prima volta al 43° Festival di Cannes (1990) dove vinse la Palma d'Oro come Miglior Film per giudizio insindacabile del presidente di giuria Bernardo Bertolucci.

"Wild at Heart" è un film a metà strada tra thriller e road movie, condito da elementi onirici e da un gusto pop e quasi fumettistico, al limite del grottesco, per la violenza. Partendo là dove era finito "Velluto Blu", Lynch ci mostra un mondo non più velato dall'apparenza, dove l'insanità e la violenza, non più camuffate, esplodono coinvolgendo cose e persone, innocenti o colpevoli, vittime e carnefici.

La storia narra di due amanti, Sailor Ripley (interpretato da Nicolas Cage) e Lula Pace (Laura Dern), in fuga da Marietta Fortune, madre di Lula (interpretata da Diane Ladd, genitore della Dern anche nella realtà), e da gli uomini che la donna ha sguinzagliato loro dietro: l'investigatore privato Johnnie Farragut e il gangster Marcelles Santos (l'attore J. E. Freeman), entrambi - vecchi e nuovi – amanti di lei.
Sailor è in libertà vigilata. Ha ucciso un uomo a mani nude dopo che questi aveva tentato di pugnalarlo per ordine di Marietta. Non appena uscito di prigione, con la sua amata giacca in pelle di serpente e la sua bellissima Lula, inizia un viaggio "on the road" tra i desolati e splendidi scenari americani, fatti di boschi, deserti e piccoli paesi, di squallidi alberghetti dimenticati da Dio e discoteche dove il ballo somiglia più ad un rito antico ed oscuro, proveniente da chissà quale mondo lontano e selvaggio.
I due sembrano essere veramente innamorati e la loro fuga appare quasi come un viaggio catartico nel cuore di una nazione corrotta che solo il fuoco dell'amore potrebbe purificare e rinnovare.
La situazione, però, si complica quando alla spietata caccia alla coppia subentrano (sguinzagliati da Santos) un'organizzazione criminale dai modi cruenti e perversi e il freak Bobby Perù ("come la nazione"), terribile psicopatico dai denti marci. Sarà quest'ultimo, con uno stratagemma, a coinvolgere Sailor in una rapina e a farlo tornare in prigione, allontanandolo dalla sua amata Lula e dal bambino che lei porta in grembo.
Ma due persone che si amano possono davvero essere separate dalla violenza di un mondo selvaggio e incontrollabile? Sarà questa la domanda a cui Sailor, nuovamente uscito di galera, dovrà dare una risposta, prima di perdere per sempre la propria famiglia.

"Le idee arrivano nei modi più impensati, basta tenere gli occhi aperti."
(David Lynch)

Fu Monty Montgomery (il cowboy di "Mulholland Drive") a consigliare a David Lynch il romanzo di Barry Gifford, "Cuore Selvaggio". Il libro è il primo di una lunga serie di volumi narranti le vicende della coppia.
Ovviamente a Lynch non sarebbe mai bastato riprodurre fedelmente il narrato del romanzo, quindi si consultò con il romanziere e con il suo benestare realizzò una delle sue pellicole più controverse, di certo non la migliore, ma certamente una delle più genuine.
"Wild at Heart" è un ritratto estremamente figurato dell'America tanto amata dal regista. Non a caso i personaggi di Sailor e Lula coincidono con due tra le maggiori icone della "mitologia" U.S.A.: Elvis Presley e Marilyn Monroe.
L'America di Lynch, però, non è una nazione di patrioti e famiglie felici in stile Mulino Bianco. Tutti i personaggi, a partire dai due protagonisti, sono caricaturali ed estremi, quasi cartooneschi, sicuramente grotteschi.
E così Sailor/Elvis balla con una grazia selvaggia paragonabile a quella di un lottatore e Lula/Marilyn, dai biondi capelli cotonati e dai vestiti tanto succinti da essere inesistenti, fa la vamp di fronte al vecchio gestore nero di una pompa di benzina.

"Questa è una giacca di pelle di serpente e simboleggia la mia individualità e fiducia nella libertà personale"
(Sailor Ripley)

I personaggi/simbolo di Cuore Selvaggio sono riconoscibili, d'altronde, per alcuni elementi-chiave che gli accompagnano, metafora di quel che rappresentano. Quello di Sailor è la giacca di pelle di serpente (inserita nel film da Nicolas Cage stesso), simbolo della libertà personale, dell'unicità in un mondo che va a rotoli e che omologa invece di incentivare l'individualità. Lula è invece rappresentata dall'immancabile "chewing gum", allegoria infantile eppure elemento estremamente carico di erotismo soprattutto grazie ad una iconoclastia radicata nell'immaginario comune (si ricordi "Lolita").

Volendo ampliare l'analisi ad altri personaggi di rilievo, come non notare il simbolismo contenuto nella dentatura marcia di Bobby Perù, indice di una corruzione intima e interiore prima che fisica; o nel look di Marietta, che oscilla tra quello alla Kathleen Turner da gattona docile e sensuale (indimenticabile la prima scena che la vede coinvolta con Johnnie Farragut, interpretato da Harry Dean Stanton) e quello alla Dolly Parton, chiara rappresentazione di una follia (dovuta ad una vita di eccessi, incesti e violenze) che la porta alla schizofrenia e che la fa coincidere, in una non poco velata raffigurazione simbolica, con la strega cattiva del "Mago di Oz" (scarpe a punta, risata malvagia).

Menzione a parte meritano Juana Durango (Grace Zabriskie) e Marcelles Santos.
La prima è il capo della misteriosa organizzazione che viene pagata da Santos per sbarazzarsi di Johnnie Farragut, unico ostacolo tra lui e Marietta, di cui sembra essere innamorato (e con cui ha un losco passato alle spalle). Juana, una specie di Frank Booth ("Velluto Blu") al femminile, compare in una delle scene più estreme del film (e anche per questo tagliata dal regista), in cui, per l'appunto, uccide Farragut mostrando una depravazione quasi indigesta.
Il secondo è invece evoluzione del prototipo del cattivo "made in" David Lynch, che, pur non perdendo in crudeltà, viene ripulito dalla folle esuberanza di Frank Booth ma risulta mancante del carisma naturalmente violento del Dick Laurent di "Strade Perdute".
In pratica un personaggio a metà strada tra il caricaturale e il realistico, che pur rimanendo quasi di contorno riesce a farsi luce nel bel mezzo di una miriade di personaggi secondari dal forte impatto visivo e psicologico.

"I piccioni diffondono malattie e creano disordine."
(Freddie Jones)

Parlando di personaggi secondari è impossibile non ricordarne alcuni, non essenziali all'economia della storia ma indispensabili nell'universo "made in" David Lynch, vere e proprie comparse in scene surreali e, forse, gratuite.
Primo tra tutti l'uomo dei piccioni, interpretato da Fraddie Jones.
L'attore era stato contattato dal regista per una particina di pochi minuti e che creò non pochi problemi, a lui e a Nicolas Cage (i due, data la portata caricaturale della scena, non riuscivano a trattenere le risate, rendendo necessario ripeterla continuamente). Jones doveva recitare la battuta: "I piccioni diffondono malattie e creano disordine. Avete visto?" e poi fare il verso dei piccioni. La scena è ambientata in un bar in cui c'è musica jazz dal vivo. Per permettere alla voce dell'attore di elevarsi al di sopra della musica, Lynch decise di inserirla nel film in una tonalità più alta, aumentando così anche l'impatto caricaturale.
Altro personaggio icona di "Cuore Selvaggio", pur comparendovi per una manciata di minuti, è il paranoico "cugino Dell", dalle abitudini sessuali inusuali che coinvolgevano anche scarafaggi.

"Questo mondo ha un cuore selvaggio e del tutto incomprensibile."
(Lula Pace)

La brutalità del film, nonostante il grottesco che la caratterizza, è estrema. Violenta e ferocissima la scena iniziale (quella dell'omicidio che porterà Sailor in prigione), culminante nel sangue, apparentemente gratuita ma funzionale allo svolgimento della storia, sia perché pone le basi a tutto quello che verrà dopo, sia perché colpisce lo spettatore catturando subito la sua attenzione. Raggiungere gli estremi è comunque una caratteristica del cinema lynchiano, cosa che gli ha procurato problemi con pubblico e critica, ma che si è sempre rivelato genuino e onesto.
Ed è proprio il pubblico, con le sue reazioni e le sue critiche, il metro di giudizio utilizzato dall'artista per capire quando ha superato il limite. Proprio a causa di una reazione negativa ad un'anteprima, ad esempio, Lynch decise di tagliare la su citata scena dell'omicidio di Farragut (che in origine terminava con l'orgasmo degli aguzzini) e decise invece di mantenere quella tra Bobby Perù e Lula.
Nella scena in questione Bobby entra nella camera di motel dove Lula, che ha da poco scoperto di essere incinta, sta riposando. Nessuno sa delle intenzioni del killer. È a questo punto che la ragazza subisce le avance estreme e spinte dell'uomo. In quella occasione Lynch diede libertà assoluta ai due attori, un bravissimo Willem Dafoe, sicuramente il migliore nel film, e la solita irritante Dern, permettendo di dar vita così ad uno dei momenti più intensi e psicologicamente violenti, ma caratterizzati da una comicità tanto grottesca da apparire catartica.

Non meno estrema, come il mondo che Lynch vuole rappresentare, è la scena dell'incidente a cui Lula e Sailor assistono o quella della rapina in cui Sailor viene coinvolto da Perù e dove, tra teste spappolate a colpi di fucile e cani che corrono via con mani amputate tra le fauci, si raggiunge il massimo del grottesco e dello splatter, cavalcando un certo gusto pulp, palpabile per tutta la durata del film.
A differenza di quanto si possa pensare, invece, le scene d'amore tra i due protagonisti sono le meno violente. Sono, tra l'altro, le scene che più di tutte coincidono con uno degli elementi maggiormente rappresentativi e ricorrenti della pellicola: i fiammiferi, simbolo di pericolo (che rimanda a un incendio che uccise, tanti anni prima, il padre di Lula, e che si scoprirà causato da sua madre e Santos) ma anche di ribellione, passione e calore (elementi che contraddistinguono i due amanti). Non a caso le scene d'amore sono caratterizzate dall'effetto "Light-Flex".
L'elemento "on the road" è quello che più stona con lo stile del regista ed è la cosa, assieme ad una isterica Lula e un imbambolato Cage (solitamente bravissimo), che più rovina la pellicola. Il genere su strada si addice poco al cinema lento e meditativo di Lynch.

Intenzionato a rappresentare un viaggio formativo a metà strada tra la commedia dantesca e "Il Mago di Oz" (e disseminando innumerevoli citazioni del romanzo di Frank Baum), il cineasta si trovò a lottare con i problemi tecnici tipici del cinema su strada (elemento che però ritroviamo, in percentuali minori, in altri suoi lavori, passati e futuri, fino ad arrivare al road movie lynchiano per eccellenza: "Una Storia Vera").

Tra gli attori, molte le presenza provenienti direttamente dal serial "Twin Peaks": ricordiamo Sherilyn Fenn (la ragazza dell'incidente) e Sheryl Lee nel ruolo della strega buona, che compare volteggiando in aria verso il finale, ultimo barlume di coscienza in un Sailor divorato dal dubbio e dai sensi di colpa.
Compare anche Isabella Rossellini, all'epoca compagna del regista, irriconoscibile con parrucca e sopracciglia finte, nel piccolo ruolo di Perdita Durango, sorella di Juana e socia di Bobby.

Concludendo: un film imperfetto perché lontano dai canoni del regista, a volte troppo estremo, altre gratuito, ma non per questo poco riuscito, sincero e importante tassello della cinematografia di Lynch, che con la sua solita attenzione ai dettagli lo impreziosisce di citazioni e perle surreali. Sottovalutato dai più, è importantissimo per conoscere un pezzo di America e di cinema con la C maiuscola.

Le musiche sono del solito Angelo Badalamenti, con l'inserto di Richard Strauss in "Im Abendrot", colonna sonora di una delle scene più belle del film, in cui Sailor e Lula, sull'orlo di una crisi di nervi perché sconvolti dall'inesauribile violenza che riscontrano nel mondo, prima ballano al ritmo forsennato di un pezzo rock e poi si abbracciano, dando fondo a tutto il loro l'amore.

Fotografia di Frederick Elmes, scenografie di Patricia Norris.

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Recensione a cura di Zero00 - aggiornata al 12/06/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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