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Nel periodo fra le stragi scolastiche statunitensi e l'11 settembre, "un ritratto del XXI secolo" simboleggiato dalla vita d'una popstar faustiana ("One for the money. Two for the show. Three to make ready. And four to go"), reincarnazione della Nina de "Il cigno nero". L'ambizione di Corbet è smisurata, il risultato detestabile: istrionismo e supponenza per costruire un apologo sulle colpe della spensieratezza, un'allegoria fin troppo ovvia e scoperta sulla colpevolezza intrinseca di ciò che distoglie lo sguardo («non voglio che la gente pensi» – declama Celeste – «voglio solo che si senta bene»), denuncia d'un mondo di cui replica in gran parte la superficialità.
Una delusione: non potrei descrivere altrimenti la sensazione dopo aver visto questo film. Dopo l'esordio L'infanzia di un capo, un film molto interessante ed europeo, mi ero appuntato il nome del giovane regista Corbet come uno da tenere d'occhio. E i primi 15 minuti di Vox lux non hanno fatto altro che confermami la sua bravura. Poi il film cambia decisamente e se la prima parte (quella incentrata sulle prime fasi nel mondo dello spettacolo) è ancora un racconto interessante sulle paure e l'ambizione di una giovane che vuole lasciarsi alle spalle quel passato, poi il film diventa un deja-vu sulla grande star autolesionista e dedita ai vizi, protettiva nei confronti della figlia ma incapace di fare veramente la madre, affogata nel lusso e aggressiva. Insomma un insieme di cose già viste che non si salvano per la fotografia e l'ottima messa in scena. E se Corbet voleva dirci altro, raccontando le molteplici sfaccettature emozionali della nostra popo-star, beh, non c'è riuscito.
Non mi aveva convinto l'infanzia di un leader, non mi ha convinto nemmeno Vox Lux. Pur partendo da buone intenzioni ed altrettante buone premesse iniziali, la storia dell'ascesa e decadenza di Celeste scorre parallelamente ai profondi mutamenti della violenza terroristica che in qualche modo determinano e condizionano le fasi della sua carriera. L'esordio da sopravvissuta ad una strage che ricorda Colombine, la canzone composta per ricordarla che diventa un'hit nazionale fino al lancio verso le stelle del pop. Un divismo che diventa globale perfettamente in parallelo ad un terrorismo che diventa, specialmente con l'11 settembre, un terrorismo globale. Dalla strage tutta americana fino all'attacco sulle spiagge di Brac in Croazia con le maschere del suo videoclip musicale. Divismo ormai che celebra se stesso, con una star che da ingenua diventa nevrotica, intesa a monetizzare e mantenere una buona immagine, sacrificando il ruolo di madre. Il film di Corbet pur avendo un buon inizio, si perde strada facendo con una Portman portata ad essere sopra le righe più del dovuto, troppo, persino irritante, tanto da mettere in ombra gli altri. La regia mi sembra che abbia molti debiti sia con De Palma ed Inarritu. Il finale con la lunga sequenza del concerto, francamente lunga e noiosa oltremisura. Corbet non è un regista nelle mie corde, tuttavia penso che Vox lux sia una tappa intermedia di una trilogia iniziata con L'infanzia di un leader, proseguendo per Vox lux. Perchè dico questo? Nella sequenza del concerto finale, sulle scenografie apparivano in sequernza continua le parole "past", "present" e "future". Se il passato è l'infanzia di un leader, il presente altrettanto oscuro è Vox lux. C'è da supporre che il prossimo film riguardi il futuro. Ma magari mi sbaglio.
Un film sicuramente pretenzioso ma ben girato, che alla fine mette insieme Somewhere della Coppola, De Palma, Asia Argento e Inarritu nello stesso calderone, un nesso temporale che vorrebbe raccontare le macerie della fama ma che riesce solo a risultare stancante irrisolto e falso. Scivola a volte volutamente nel cineromanzo. Se non racconta il delitto del Pop la suddetta superstar-Portland qui risulta musicalmente piu' indigesta perfino di Lady Gaga. Un film sbagliato anche se decoroso, con una brava Portland e altri attori, invece, a un passo dal ridicolo. Cade nell'autoparodia quando vorrebbe essere una denuncia post-moderna dell'industria effimera del successo. E niente di nuovo sotto il sole, davvero. Insopportabile epilogo con tanto di referenti biblici. Troppo da dire, e poco da trasmettere