american fiction regia di Cord Jefferson USA 2023
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american fiction (2023)

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locandina del film AMERICAN FICTION

Titolo Originale: AMERICAN FICTION

RegiaCord Jefferson

InterpretiJeffrey Wright, John Ortiz, Erika Alexander, Leslie Uggams, Sterling K. Brown, Skyler Wright, John Ales, Patrick Fischler, Carmen Cusack, Joseph Marrella, Stephen Burrell, Issa Rae, Nicole Kempskie, Becki Dennis, Tracee Ellis Ross, Myra Lucretia Taylor, Ryan Richard Doyle, Kate Avallone, Dustin Tucker, Michael Jibrin, Michele Proude, David De Beck, Okieriete Onaodowan, Keith David, Miriam Shor, Raymond Anthony Thomas, Greta Quispe, J.C. MacKenzie, Elle Sciore, Adam Brody, Justin Andrew Phillips

Durata: h 1.57
NazionalitàUSA 2023
Generecommedia drammatica
Al cinema nel Gennaio 2024

•  Altri film di Cord Jefferson

Trama del film American fiction

Il professore di inglese e scrittore Thelonious "Monk" Ellison verga un romanzo satirico sotto pseudonimo con l'intento di smascherare le ipocrisie dell'industria editoriale.

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Voto Visitatori:   6,50 / 10 (17 voti)6,50Grafico
Miglior sceneggiatura non originale (Cord Jefferson)
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior sceneggiatura non originale (Cord Jefferson)
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Voti e commenti su American fiction, 17 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

stratoZ  @  11/03/2024 14:44:15
   7½ / 10
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Ho apprezzato parecchio questo lavoro, dico la verità conosciuto perché candidato agli oscar, e ammetto ero partito anche con un lieve pregiudizio, ho ragionato con lo stereotipo: film con persone di colore candidato all'oscar -> sarà il solito pippone. E invece non è assolutamente così, anzi "American fiction" è un dramma pieno di ironia che si oppone a questa visione riduttiva, è una pellicola che si occupa proprio di smontare in maniera quasi sardonica gli stereotipi che avvolgono queste opere, gli archetipi affibbiati agli afroamericani, specialmente nel mondo occidentale, l'inconsistenza culturale della distribuzione, che qui ne fa un discorso prettamente letterario ma applicabile anche al resto dei media.

"The dumber I behave, the richer I get." dice Monk, il protagonista, professore di letteratura di poco successo fino a poco tempo prima che per sfogarsi ha scritto una sorta di libro parodia appositamente pieno di stereotipi sulle persone di colore: slang, droga, rap, vita di strada, insomma c'è tutto quello che un americano o un europeo medio può pensare quando gli parlano degli afroamericani. Fantastiche le scene in cui immagina i suoi personaggi che cascano esattamente dentro gli stereotipi, da plauso la direzione degli attori così impostati su uno slang forzato, con un linguaggio del corpo iperattivo e quasi molesto, così come deve agire lui davanti agli editori - o al regista che si propone di trasporre il suo libro al cinema - per convincerli del personaggio che interpreta, una finta genuinità che in realtà crea una macchietta, così come il mistero che fa aleggiare attorno a questo presunto scrittore ricercato per dare un forte clamore mediatico, d'altronde è questo quello che vogliono pubblico e produttori, no?

Ma le scene al riguardo si sprecano, dal primo incontro con la scrittrice che presenta il suo nuovo libro "In da ghetto", con la faccia biasimante di Monk che è fantastica, allo splendido finale col regista che vuole adattare il suo libro, altra stoccata del film, questa volta alla rappresentazione cinematografica che vuole alimentare gli stereotipi per darli in pasto ad un pubblico di pancia, obiettivamente, penso sia stata una scelta anche abbastanza coraggiosa quella di inserire la scena della polizia che irrompe alla premiazione è spara a Monk, con tanto entusiasmo da parte del regista che vede già fiumi di quattrini.

Assieme a questo presenta anche una forte ironia nei confronti delle case editoriali, come dice il produttore di Monk riguardo una delle regole del marketing: "Mai sottovalutare la stupidità delle persone", mostrando come il prodotto pieno di stereotipi venga promosso molto meglio delle precedenti opere migliori qualitativamente, così come è esilarante la scena in libreria in cui i libri di Monk sugli studi classici sono nel reparto "Southern literature", solo perché l'autore è di colore "The blackest thing in these books is the ink", un modo per dare ipocritamente risalto alle opere delle persone di colore, ma alimentando involontariamente il razzismo proprio disponendole in questo modo.

Personalmente, penso sotto questo aspetto sia un gran film

Poi, per gusto personale, ho apprezzato un po' di meno la parte drammatico/familiare, quella più intima in cui l'ironia è smorzata dai drammi familiari, dalla perdita della sorella, dall'elaborazione del lutto ancora in corso per il suicidio del padre, dalla malattia della madre, al fratello omosessuale che non si sente apprezzato, insomma questa parte mi ha fatto un po' storcere il naso per il suo eccessivo fatalismo, un calderone in cui tutto deve andare male per forza e l'ho trovata anche un po' patinata e melensa, però non è poi un malus così grosso per il film, capisco anche c'era un'esigenza di approfondire il personaggio di Monk e i suoi legami più stretti, e anche una certa incomunicabilità che traspare molto nel rapporto con la nuova compagna, ma anche questo fattore mi è sembrato eccessivamente preso dalla morale che "i geni sono soli e blablabla"

Momenti del genere a parte, è comunque un buon film per la sua ironia e la tagliente critica alla società contemporanea, ai media, in parte anche al capitalismo, nonché alla decadenza culturale della massa, una pungente denuncia agli stereotipi e una riflessione al ruolo degli afroamericani nella storia americana, Wright l'ho trovato eccezionale e tratteggia un gran personaggio, molto consigliato.

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