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Il cinema di David Cronenberg

Pubblicato il 13/11/2012 08:42:10 da Gianluca Pari aka VincentVega1
Nicholas Tudor si guarda allo specchio. Il suo volto è paralizzato, il sudore bagna la sua fronte, l'orrore urla imprigionato dentro ai suoi occhi. La telecamera si abbassa e mostra il suo addome. Escrescenze si muovono sulla pelle, la disperazione si è fatta carne: maternità viscerale che cova nel corpo di un uomo.
Max Renn gestisce un'emittente televisiva, dà in pasto alla gente una realtà di plastica, la sua merce è l'immagine. Lui stesso diventerà vittima delle proprie illusioni, allucinazioni come ultimo appiglio alla realtà: “Gloria e vita alla nuova carne!”.
Seth Brundle ha superato i limiti della scienza, la sua condanna è la metamorfosi. Sperimenta una fusione molecolare-genetica con una mosca, insetto extraterrestre: peli ispidi sulla schiena, forza sovrumana, voracità sessuale, bisogno incontrollabile di morire.
Claire Niveau morde il feticcio di carne che tiene uniti due gemelli, ne strappa gli organi, i muscoli, i tessuti cellulari. Sangue di fratelli che diventa lacrima: inseparabili dalla nascita, soli nella morte. Cinema implosivo che indaga l'interno del corpo.
James Ballard si fonde con la meccanica della sua automobile. Metamorfosi compulsiva: la leva del cambio si accorpa ai tendini del braccio destro, il volante si avvinghia ai legamenti del braccio sinistro. Le sue gambe fungono da catalizzatore del proprio destino: quando vivere/accelerare o quando morire/frenare. Parola onomatopeica dello schianto: Crashhhhh!



Con il passare del tempo le immagini viste in un film si fanno sempre più confuse nella nostra mente. Inevitabilmente però piccoli ricordi rimangono vivi nel nostro immaginario, come una panoramica sfuocata o un frame perpetuo ricco di particolari più o meno significativi. Il cervello difficilmente abbandona le sensazioni che ci hanno scosso nell'inconscio, anche se queste hanno agito per un brevissimo lasso di tempo. Il cinema di David Cronenberg vive di queste sensazioni: guardare una sua pellicola significa portarsi dietro per sempre un tassello del suo pensiero, un respiro della sua arte, una breve sequenza del suo cinema. Egli mescola finzione e realtà senza possibilità di distinzione, ci insinua il sospetto ma non ce lo rivela, fa dell'illusione la disillusione e viceversa. È stilisticamente distante da cineasti come Fellini, Lynch, Buñuel o Bergman: non mostra immagini oniriche ma vive nell'onirismo e nel surreale. Crea film con intrecci lineari in un montaggio fluido e invisibile che consacra la fiducia dello spettatore in ciò che vede. Distrugge l'organismo contaminato dell'illusione del cinema fondendo la realtà e mostrandola nel video.

Nato a Toronto il 15 marzo del 1943 in una famiglia ebrea, Cronenberg viene ispirato e influenzato sin dai primi studi da geni della letteratura e del teatro quali Burroghs, Nabokov, Henry Miller e Beckett. Laureatosi in letteratura inglese inizia a girare i primi corti e mediometraggi spinto dalla estrema efficacia dello strumento cinematografico. I suoi primi lavori già sottolineano il tema centrale che accompagnerà poi tutti i suoi film futuri. In “Stereo” (1969) e “Crimes of the future” (1970) la mente umana razionale viene spiata dallo sguardo animale con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni. Lo sguardo di Cronenberg si concentra sull'uomo, ma soprattutto sul tema centrale già citato poche righe addietro ma non ancora rivelato: il corpo.



Per me, all'inizio c'è il corpo. È ciò che siamo, ciò che abbiamo. Siamo tutti come degli attori che si agitano sulla scena della vita e la prima cosa che abbiamo sono i nostri corpi fisici, la nostra esistenza fisica. Nei miei film il corpo è sempre al centro. Gli giro attorno come fa un pianeta col sole, non me ne allontano mai. E se ciò accade, più me ne allontano, meno mi sento sicuro di me. Come se diminuisse la gravità.

I cinema d'essai canadesi rifiutano di proiettare i primi film del regista perché in bianco e nero, privi di dialoghi e senza suono in presa diretta, così Cronenberg si vede costretto a conformare il suo stile. Il suo primo film commerciale si intitola “Shivers” (da noi tradotto come “Il demone sotto la pelle”), pellicola che nel 1975 gli porterà finalmente la popolarità. Esso è ambientato in un condominio dove uno strano virus si diffonde fra i suoi abitanti sino a scatenare l'anarchia totale. Non si tratta di uno dei soliti film sul contagio, ma di una profonda riflessione sulla repressione degli istinti umani. Conosciuto ormai anche negli Stati Uniti (paese che detesta, non ha mai girato una sola scena sul suolo americano) , Cronenberg con i suoi film seguenti diventa il rappresentante del body horror (da “The Brood” a “Scanners”, passando per “Rabid”) fino a girare il suo film ad oggi più importante e baluardo di un'epoca che ancora deve finire: “Videodrome” (1983). L'idea del film nasce dall'interesse che Cronenberg nutriva nei confronti di coloro che “si chiudono soli in casa per guardare videocassette porno” (sue testuali parole) ed è un saggio teorico sul mondo dei mass-media e sull'ambigua fascinazione e repulsione che l'occhio umano prova di fronte ai propri sogni e ai propri incubi. Angosce e allucinazioni del protagonista del film sono proprie di quella magnifica letteratura iniziata da Burroghs e Kafka, grandi ispiratori e maestri di vita del regista.



Ginecologo dell'incubo e dell'orrore, ostetrico della mutazione visiva, Cronenberg, dopo il suo film simbolo, gira su commissione il suo prodotto più commerciale, “La zona morta” (1983), senza però abbandonare il suo status di autore. Diventato ormai famoso in tutto il mondo, si dedica al remake di un datato film hollywoodiano con protagonista il mitico Vincent Price, “L'esperimento del dottor K.” (1958), stravolgendone la trama a favore di una maggiore introspezione del protagonista e di una mutazione splatter visivamente disturbante. Nel film Seth Brundle costruisce una macchina del teletrasporto composta da due capsule. Egli, provandola, incrocerà erroneamente il suo codice genetico con quello di una mosca ed inizierà una lenta mutazione in un insetto gigante. Esso prende il titolo di “The fly” (1986) ed è un'amara meditazione sul destino che obbliga i corpi all'immobilità per non perdere la reciproca attrazione che li unisce.

Diventato il suo più celebre film di cassetta, dopo “La mosca” Cronenberg realizza l'opera che segna una svolta importante nel suo stile: “Inseparabili” (1988). Il film racconta il rapporto malato e ossessivo di due gemelli ginecologi messo a rischio dall'incontro con una donna dall'utero triforcuto (ennesima alterazione, questa volta invisibile). Per la prima volta le mutazioni esposte da Cronenberg diventano interne, delle viscere, degli organi: scompaiono le scene forti e disturbanti e i personaggi manifestano il metaforico bisogno di rivoltarsi la pelle per mostrare la totale bellezza del corpo umano. Il regista canadese si spinge oltre al corpo, diventato irrappresentabile proprio per il volerne mostrare l'interno, e penetra nella mente dei suoi protagonisti. Mette in scena l'orrore del guardarsi dentro.



Agli inizi degli anni novanta Cronenberg realizza il suo progetto più importante, la traduzione cinematografica delle opere e della vita di William Burroghs, suo scrittore di riferimento nonché caro amico, dandogli il titolo di uno dei suoi libri più famosi: “Il pasto nudo”. Rimanendo in ambito letterario egli poi gira “Crash”, film basato sul libro omonimo di James G. Ballard, il primo romanzo pornografico eretto sulla tecnologia. Cinematograficamente è una rivoluzione: il film presenta le azioni dei suoi protagonisti per accumulo, senza una vera e propria trama di fondo, utilizzando la stessa struttura ossessiva e ripetitiva del porno. L'opera è una lucida riflessione sull'uomo e sulle sue mutazioni psicofisiche indotte da un sempre più stretto rapporto con le tecnologie, in questo caso le automobili.

Abbiamo ormai incorporato l'automobile nella nostra comprensione del tempo, dello spazio, della distanza e della sessualità. Voler immergersi in tutto ciò in modo letteralmente fisico mi pare una buona metafora. C'è un desiderio di fondersi con la tecnologia.”

L'ultima metamorfosi della filmografia cronenberghiana, sviluppatasi negli ultimi vent'anni, ha reso il suo stile narrativo più fluido e la sua poetica più incisiva. È nato così “A history of violence” (2005), uno dei film più affascinanti del cinema moderno. Esso è un'efferata critica alla società, costruita sulla volubilità dei valori familiari e sulla perdita dell'identità.
In più di quarant'anni di carriera David Cronenberg è riuscito a trattare una serie innumerevole di temi, che ritornano ciclicamente in ogni suo film, come se fossero crimini del futuro: l'origine e la nascita, le paure e i desideri dell'infanzia, il corpo, la sessualità e la sessuologia, la mente con le sue allucinazioni e illusioni, la malformazione, la morte.
Il suo cinema è freddo e medico, ironico e crudele; esso però non evita di sedurci e ammaliarci: bisogna lasciarsi andare, come raramente avviene durante uno spettacolo cinematografico, alla allucinazione e alla finzione, e con esse tradurre in problema vero tutto ciò che il cinema presenta come reale.



E con il suo ultimo film, "Cosmopolis" (tratto da un racconto di De Lillo), Cronenberg aggiorna e approfondisce la sua intera filmografia, riuscendo a trattare i temi a lui più cari in maniera forse definitiva. Dopo non ci sarà più nulla, solo malattia e morte.


(Il pezzo è presente anche sul sito Il Bufalo.it)

Categorie: Cinema registi, Cinema approfondimenti

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