Recensione shining regia di Stanley Kubrick USA 1980
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Recensione shining (1980)

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locandina del film SHINING

Immagine tratta dal film SHINING

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Il film è del 1980 e rappresenta l’articolazione di un complesso edipico che sfocia incidentalmente in una tragedia. Protagonista è una comune famiglia americana composta da una giovane coppia con un figlio piccolo. Un nucleo che vive in condizioni economiche non elevate.
Il tragico conflitto matura in un albergo montano denominato l’Overlook Hotel, situato nelle Montagne rocciose: una grande costruzione edificata sopra un cimitero indiano. L’albergo è dotato all’esterno di un curioso labirinto che evoca il mito di Teseo e il Minotauro. Il padre Jack è anche uno scrittore, ma da tempo è a corto di ispirazione, spera con il lungo soggiorno nell’albergo di ritrovare l’ispirazione perduta.
Il conflitto comincia a manifestarsi in coincidenza con i primi normali effetti depressivi dovuti alla lunga permanenza della famiglia nell'albergo. Jack (Jack Nicholson) a un certo punto constatata la sua impossibilità di scrivere, perché ossessionato da qualcosa del passato, coglie questo pretesto per diventare sempre più aggressivo nei confronti sia del figlio Danny, molto amato dalla madre Wendi (Shelley Duvall), che della moglie. L’aggressività ha una rapida evoluzione fino a divenire follia omicida.
La violenza esplode irrazionalmente dopo che Jack per una insolita via legata stranamente all’erotismo è entrato in contatto con il paranormale. Il contesto ambientale dell’albergo, così isolato dal mondo e deserto al suo interno di ogni presenza umana al di fuori della famiglia di Jack, accresce paurosamente la rabbia di Jack cui il lungo tempo dell’isolamento ha allentato pericolosamente anche il controllo delle pulsioni edipiche. L’albergo, nel delirio di Jack e di suo figlio Danny, diventa un soggetto: mostra gli orridi eventi del passato di cui è stato testimone, eventi che sembra debbano ripetersi per concludersi solo adesso.

Il paranormale presente a tratti nel film è un modo per Kubrick di sviare la questione edipica dai suoi binari psicanalitici più scorrevoli ma poco spettacolari,e presentarla quasi irriconoscibile come mito di Teseo e il Minotauro sul piano della follia. Il Minotauro figlio di Minosse nel mito è un mostro che uccide i ragazzi di Atene nel labirinto. Viene poi ucciso da Teseo. Il film nel suo svolgersi più motorio si avvale della struttura di questo mito per dare riferimenti metaforici e metonimici sul senso finale della follia.
La potenza della follia apre nell' Io di Jack squarci sempre più grandi di storia primitiva inconscia mettendo in moto un meccanismo che va oltre l’edipo, attraversando diversi miti della mitologia. Le allucinazioni visive che ne conseguono assumono una forza figurativa e motoria che porta al piacere immaginifico della bestia e all’intenzione pratica di assassinare come Crono il figlio.

L’assassinio assume il significato di distruzione della struttura edipica: della colpa che ne è connessa. Quest’ultima agisce in forme figurative anamorfiche legate agli spostamenti e alle condensazioni del lavoro dell’inconscio e coinvolge, con un disagio non più contenuto, tutto il nucleo familiare. E’ una struttura in tensione di cui è saltata attraverso l’intervento del paranormale significante ogni possibilità di razionalizzazione. L’inconscio invade spaventosamente tutta la coscienza di Jack prendendo un sopravvento teso a portare la morte per ricostruire il rapporto fallito. Il suo scopo è di uccidere la moglie e il figlio per liberarsi da tutta l’ansia della questione edipica a vantaggio di una struttura sessuale nuova priva del ruolo di un padre faticosamente impegnato a mantenere un’autorità che risulta sempre più difficile. La libertà allora passa attraverso il mito del mostro Minotauro un animale privo di etica. Una rivoluzione del costume a vantaggio della creatività espressiva artistica che può avvalersi di una sessualità libera solo se passa attraverso lo stato animale puro.

Kubrick crea uno spettacolo edipico rivoluzionario portando lo spettatore dalla sua situazione di normalità psichica che si avvale della rimozione del complesso edipico a un campo psichico di orrore forte dell’immagine edipica fantasmizzata e operatrice.
Avviene quindi una caduta provvisoria della rimozione dello spettatore a vantaggio dell’insorgere di un inconscio scosso dalla provocazione e aperto per un attimo alle verità più originarie della propria sfera primaria. Lo spettacolo culturale è assicurato in particolare quando la pulsazione provvisoria dell’inconscio dello spettatore fa intravedere a ciascuno lo spaccato delle pulsioni sessuali edipiche che ci costituiscono. Al di là della famiglia istituzionalizzata, quindi con un senso di insicurezza e orrore.
Per Kubrick è possibile rivivere per un attimo aspetti della nostra sfera originaria e intravedere tutto il piacere dell’andare oltre la razionalità conservatrice. I suoi film portano a immaginare la costruzione di identità sessuali più congeniali alla nostra sensualità e alla ragione che ci costituisce: lungo il bordo del civile repressivo.
Per il regista lo spettacolo culturale passa attraverso le sensazioni ambigue dell’orrore visivo presente in un’opera d’arte. Kubrick riesce in questo, raccomandandoci di vedere l’opera filmica nel suo insieme trascurando la concentrazione visiva sui dettagli della pellicola. Quest’ultimi studiati subito possono portare troppo presto alla critica cinematografica senza passare dall’effetto di impressione di realtà generale che il film suscita. Il regista sembra dirci che per cogliere per un attimo l’orrore edipico che il nostro inconscio può mostrarci occorre calarsi in uno stato di ingenuità infantile. Ciò è possibile quando il film agevola con il suo linguaggio artistico l’orrore ambiguo dell’edipo: prossimo al piacere. La critica all’opera d’arte si può fare in seguito a freddo. Anche a distanza di anni. Essa è indispensabile per un contributo alla conoscenza di ciò che il civile rimuove e forgia. Un civile che deforma mostruosamente i desideri più autentici che ci hanno costituito rendendoli a volte irriconoscibili.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 13/02/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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