Recensione anna karenina regia di Clarence Brown USA 1935
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Recensione anna karenina (1935)

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locandina del film ANNA KARENINA

Immagine tratta dal film ANNA KARENINA

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Immagine tratta dal film ANNA KARENINA

Immagine tratta dal film ANNA KARENINA
 

A chi gli chiedeva come fosse nato il romanzo "Anna Karenina" Tolstoj rispondeva: "Proprio come adesso, dopo pranzo, ero da solo sdraiato su questo divano... all'improvviso mi balenò dinanzi agli occhi il nudo gomito femminile di un'elegante braccio aristocratico, senza volerlo cominciai a fissare questa immagine, apparvero una spalla, il collo, ed infine tutta la figura di una bella donna in abito da ballo che, implorante, fissava su di me i suoi occhi tristi". Questo pensiero, unito al ricordo, tragico, del corpo dilaniato di una donna gettatasi sotto le ruote di un treno presso la stazione della sua città natale Jasnaja Polyana, ispirò il grande scrittore russo alla stesura di uno dei romanzi più belli di tutti i tempi. Incurante del fatto che "Anna Karenina" avrebbe potuto vivere all'ombra di quell'immenso edificio che era "Guerra e pace", il genio di Tolstoj quasi eguagliò quell'opera regalando ai lettori questo innarrivabile ritratto di vita.

Impossibile parlare del film senza pensare al libro, il progetto ambizioso di Clarence Brown e del produttore David O. Selznick di comprimere milleduecento pagine di un romanzo di questa portata in un'ora e mezza di pellicola fu quantomeno coraggioso, il regista sapeva che il confronto con il libro sarebbe stato inevitabile, per questo scelse un cast di attori che all'epoca riscuotevano enormi favori di critica e di pubblico: La "divina" Greta garbo (Anna), Fredric March (Vronsky), Basil Rathbone (Karenin), il risultato è una pellicola che comunque non delude le aspettative, L'ottima sceneggiatura ed il montaggio riescono nel difficile compito di non far pesare l'inevitabile contrazione dei dialoghi ed i frequenti salti di interi capitoli.

"Anna Karenina" è una storia di abbandono, di vuoto e di morte.
L'inizio molto scenografico del film, con gli immensi saloni, i balli, le tante comparse in costume, ci introduce nella società aristocratico-borghese di San Pietroburgo e Mosca facendoci ammirare soprattutto un mondo fatto di sfarzo, di lusso e di goliardica felicità, ma è l'arrivo di Anna alla stazione che ci porta in quello che realmente è il sentiero che prende il film, appena gli occhi della splendida Greta Garbo si posano su Vronsky iniziano a brillare di quella luce che investe chi viene travolto da una passione improvvisa, assoluta, ma a questa scintilla si contrappone subito l'orrore alla vista di un guardiano ferroviario schiacciato dal treno in partenza. Questi due diversi stati d'animo, estremi, il primo di nascita, il secondo di morte, segnano come un vaticinio quello che sarà l'inizio e la fine della storia d'amore di Anna. Nel film prevale il triangolo Anna, Karenin, Vronsky; moglie, marito, amante, tutto ruota intorno a loro, le figure di Kitty, Dolly e soprattutto quella di Levin che nel romanzo ha un'importanza rilevante, sono tenute ai margini. La relazione tra Anna e Vronsky esplode prepotentemente ma rimane confinata tra incontri fugaci e brevi uscite in società che comunque creano il disappunto nell'ambiente, non manca di notarlo Karenin che mette in guardia la moglie sottolineando valori come l'integrità della famiglia, la morale per i figli e soprattutto, da buon ministro dello Zar, il rispetto dell'opinione pubblica. Quando Anna si trova costretta a confessare l'adulterio al marito, a Karenin vengono meno tutte le sue certezze, l'uomo che pensava di essere svanisce, evapora:

"L'impressione che provava ora era simile a quella che proverebbe un uomo il quale, mentre cammina fiducioso su un ponte gettato sopra un abisso, vedesse ad un tratto quel ponte crollare e l'abisso spalancare la sua voragine sotto di lui. L'abisso era la vita vera, il ponte la vita falsa ch'egli aveva sempre vissuta."

L'umiliazione lo costringe alla vendetta; Anna dovrà lasciare la casa e non potrà più rivedere suo figlio (molto bella la scena di karenin che dice al piccolo, mentendo, che la mamma è morta). Ben presto il tumulto interiore e la sete inesauribile di passione che albergano nel cuore di Anna, soffocano Vronsky, l'appagamento dei desideri fa conoscere a lui un sentimento che prima gli era sconosciuto, la malinconia:

"La guardava, come si può guardare un fiore avvizzito, in cui si stenta a riconoscere la bellezza primitiva, per la quale è stato strappato e rovinato."

Per sconfiggerla torna a frequentare quello che prima per lui era il quotidiano: le corse, gli affari, la politica. Ad Anna non rimane che una cosa da fare: chiudere il cerchio. Si reca così alla piccola stazione di Obiralovka e, dopo aver fissato ipnoticamente il passaggio delle ruote sui binari (la scena ci regala un indimenticabile primo piano della Garbo), si getta sotto il treno.

Il personaggio di Anna Karenina è il risultato di chi, apparentemente soddisfatto della propria esistenza (l'amore per il figlio, il rapporto affettuoso con il marito), ad un certo punto non si accontenta più del piacere riflesso e decide di vivere attraverso le esistenze di altri, entrandone completamente a far parte; e quale interprete migliore negli anni 30 poteva rappresentare questa tormentata figura femminile se non la straordinaria Greta Garbo?. Il film nonostante risenta degli inevitabili condizionamenti tipici dell'ambiente hollywoodiano dell'epoca, riesce a mantenere una propria dignità artistica. Ineccepibili le interpretazioni dei tre attori principali, l'eleganza di Basil Rathbone è fuori discussione, Greta Garbo nella parte, a lei consueta, della donna dalla vita tormentata è unica, e Fredric march è perfetto nel ruolo di uomo con l'uniforme.
Dalla voce di Pino Colizzi si evince che il film è stato ridoppiato (Colizzi nasceva due anni dopo l'uscita del film), scelta più che azzeccata se pensiamo che l'attore/doppiatore ha interpretato lo stesso personaggio nel bellissimo sceneggiato in sei puntate che la Rai ha trasmesso nel 1974 con la regia di Sandro Bolchi.
In definitiva Clarence Brown supera molto bene la prova dell'adattamento cinematografico di un classico della letteratura mondiale, lasciando magari il termine "capolavoro" al libro, ma offrendo un'opera più che dignitosa.

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Recensione a cura di Marco Iafrate - aggiornata al 16/11/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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