Recensione l'assassinio di un allibratore cinese regia di John Cassavetes USA 1980
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Recensione l'assassinio di un allibratore cinese (1980)

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locandina del film L'ASSASSINIO DI UN ALLIBRATORE CINESE

Immagine tratta dal film L'ASSASSINIO DI UN ALLIBRATORE CINESE

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Immagine tratta dal film L'ASSASSINIO DI UN ALLIBRATORE CINESE
 

Cosmo Vittelli, gestore e padrone di un night club a Los Angeles, dopo aver estinto i suoi debiti con un usuraio, si ritrova a dovere estinguere un debito di gioco di 23.000 dollari con una banda di mafiosi, che lo costringono a portare a termine l'omicidio di un allibratore cinese.

Primo gangster-movie di Cassavetes (a seguire ci sarà "Gloria"), "L'assassinio di un allibratore cinese" è anche il primo film del regista americano (se si esclude il mainstream e convenzionale "Gli esclusi") che si allontana dal suo stile abituale e dalla sua idea di cinema. In questa opera "succede qualcosa" nel senso che notiamo la presenza di un canovaccio più corposo e lineare rispetto alle sue grandi pellicole che lo hanno reso inimitabile, quali "Ombre", "Volti" o "Una moglie", nei quali in realtà succedeva tutto ma in pratica non succedeva niente.

John Cassavetes è nato e si è formato come autore e regista negli anni d'oro della Nouvelle vague francese e questo è ravvisabile nel suo modo di girare e di dirigere gli attori. Sin dalle prime pellicole il suo intento primario era quello di "gettare un occhio sulla realtà", facendo ricorso a mezzi come una regia al servizio dell'attore, il quale a sua volta godeva di piena libertà espressiva e interpretativa e poteva familiarizzare facilmente con il personaggio da interpretare, grazie ad una tecnica di ripresa che seguiva la storia dall'inizio alla fine quasi in tempo reale.
Facendosi assertore e promotore di un realismo cinematografico che puntava ad un pieno coinvolgimento emotivo e all'immedesimazione dello spettatore nel personaggio, Cassavetes era così in grado di creare suspense e attenzione, anche senza fare ricorso a facili espedienti come abusati colpi di scena o facili e lineari scelte registiche.

E' questo anche il caso di "L'assassinio di un allibratore cinese", in cui tutta l'attenzione del regista è posta sulla figura del protagonista Cosmo Vittelli, completamente avvolto nell'ambiente in cui vive e per cui vive.
Personaggi e ambienti sono dunque i protagonisti assoluti dell'occhio attento e scrutatore di Cassavetes, che con questa pellicola crea la giusta atmosfera tesa e allucinante, decisamente perfetta per descrivere il percorso "infernale" che il protagonista (un Ben Gazzara in stato di grazia) è costretto a percorrere. La notte è l'altra grande protagonista del film, l'unica in grado di offrire a Cosmo la possibilità di trovare soddisfazione nel suo lavoro, il quale sembra quasi rappresentare anche la sua vita.
Fa riflettere il riferimento finale all'immedesimazione della persona col personaggio, quando il capocomico del gruppo di ballerine del locale di Cosmo si lamenta del fatto di non godere mai della riuscita degli spettacoli, ma di risentirne quando questi vanno male. La risposta del padrone sarà quantomai illuminante: "Devi imparare bene la parte e recitare il tuo personaggio". Una frase che viene ripetuta più volte e che ci fa comprendere come forse molto spesso due realtà come la vita e il cinema (o il teatro) tendono facilmente a confondersi (così come tenta di dimostrare il cinema di Cassavetes).
Avviene così che Ben Gazzara viene chiamato ad interpretare il ruolo di Cosmo e quest'ultimo viene costretto, suo malgrado, ad interpretare il ruolo di terribile assassino, anche se le conseguenze non saranno rosee, proprio perché non aveva "imparato bene la parte".
Cassavetes si sofferma sui particolari, quasi "incastrando" con la mdp i suoi personaggi, relegandoli negli angoli e mostrandocene tutta la loro essenza, così come avviene con Cosmo all'interno del suo locale o nelle strade di Los Angeles che percorre inizialmente con sicurezza e poi con un'incertezza sempre più incalzante.

Altro grande tratto distintivo di questa prima parte della carriera registica del grande Cassavetes è la mancanza di veri e propri finali, così come dimostrano i tre capolavori succitati che terminavano tutti lasciandoci in sospeso sulla sorte, tragica, felice o dubbia dei loro protagonisti.
Lo stesso avviene in "L'assassinio di un allibratore cinese", in cui la telecamera si stacca dal volto e dal corpo di Cosmo, appena uscito dal locale completamente sanguinante dal fianco, colpito dalle guardie del corpo del mafioso cinese che ha ammazzato. Cosa ne sarà di lui, che è riuscito a portare a termine il lavoro sapere che poi sarebbe stato braccato dai suoi stessi mandanti, oltre che dagli "amici" della vittima?
Allo spettatore non resta altro che "accontentarsi" del fatto che Cosmo si è finalmente reso consapevole dell'essenza dei suoi rapporti interpersonali (gira sempre in compagnia di tre dipendenti del night, ma viene realmente amato solo da una di esse), del suo lavoro, della sua esistenza, senza poterne pero conoscerne gli esiti e il futuro.

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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 21/10/2010 10.16.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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