Recensione cargo 200 regia di Aleksej Balabanov Russia 2007
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Recensione cargo 200 (2007)

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locandina del film CARGO 200

Immagine tratta dal film CARGO 200

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Immagine tratta dal film CARGO 200

Immagine tratta dal film CARGO 200
 

Il parallelo con l'impero romano è forse un po' azzardato parlando della caduta dell'impero sovietico ma se, come per il primo, il crollo è giunto quale epilogo a uno statu quo dove corruzione, indolenza, vizio, dissolutezza erano la regola, il 1984 (agli albori della Perestojka) rappresenta il punto di non ritorno oltre il quale, come avremmo assistito negli anni a venire, è franato un intero sistema che, essendosi retto su un equilibrio risicato e instabile, era destinato prima o poi a cedere.

È in questo passaggio cruciale che si situa la storia di "Cargo 200", un film tetro quanto impietoso verso l'ideologia marxista, condotto con i ritmi serrati del noir, dove la ferocia scoppia irrefrenabile a opera dello psicopatico capitano di polizia Zurov che, dopo avere ammazzato l'inserviente vietnamita di una distilleria clandestina ospitata in una dacia in una zona rurale non molto discosto dall'allora Leningrado, rapisce la giovane figlia del segretario del Comitato regionale del partito, Angelica, capitata casualmente nella dacia insieme a Valera, un ragazzo incontrato in discoteca.

La Russia degli anni della stagnazione è quella impegnata militarmente in Afghanistan dove sta riportando una pesante sconfitta da parte dei mujaheddin e, i Cargo 200 che danno il titolo al film, sono i voli militari che giornalmente atterrano negli aeroporti di tutto il paese portando con loro le bare dei soldati russi uccisi nel conflitto.
E proprio la cassa contenente le spoglie di uno di essi, Kolja, già fidanzato di Angelica, sbarcata per ironia della sorte nell'aeroporto di Leninsk,la cittadina dove Zurov è a capo della quattordicesima circoscrizione di polizia, verrà requisita dal poliziotto che si servirà del cadavere per scaraventarlo addosso ad Angelica (tenuta segregata, legata a un letto e seviziata nell'appartamento di Zurov) quale estremo atto di spregio verso un essere umano.

Soffermandoci a considerare con occhio distaccato gli avvenimenti che danno corpo alla trama, che altro non sono se non la conseguenza di rabbia e frustrazioni rimaste sopite lungo settant'anni di totalitarismo ed esplose con l'avvicinarsi della fine, l'accento cade su alcuni aspetti della vita quotidiana delle persone come ce la presenta il regista Balabanov in quel 1984.
Gli edifici in cui vivono sono fatiscenti (e tali sono rimasti in larga parte a tutt'oggi): lo squallore, la sciatteria, la sporcizia sono le tracce più evidenti della decadenza e del fallimento di un apparato statale che, avendo perso il treno dello sviluppo sociale ed economico, considerava le proprie forze armate un baluardo a difesa dei privilegi della nomenklatura contro ogni ingerenza esterna, concentrando su di esse i suoi interessi principali.

Un tentativo di sopravvivere del tutto inutile se i modelli a cui si ispiravano i giovani del tempo erano poi gli stessi dei loro coetanei occidentali, vale a dire le discoteche (ospitate in sordidi scantinati spogli e decrepiti), lo sballo (con la vodka, in mancanza degli stupefacenti), la musica rock a volume altissimo (il soviet rock naturalmente, di cui "Cargo 200" propone un mix travolgente): sintomo, con l'arrivo imminente della Coca-Cola e di MacDonald's, che l'epoca del marxismo-leninismo era ormai matura per il de profundis.

NOTA: L'inizio della fine

Impegnata a combattere l'Occidente (almeno formalmente) e il suo stile di vita, l'URSS si era ostinatamente, sebbene talvolta efficacemente, intestardita a voler mantenere in vita un organismo che da molto tempo ormai aveva perso ogni legame con la realtà, fosse pure quella fortemente statalizzata dei soviet.
A una società in evoluzione, al passo con i tempi che cambiavano – a metà anni ottanta del secolo scorso – quando anche i più arretrati tra i paesi in via di sviluppo cercavano faticosamente di progredire, l'Unione Sovietica non aveva saputo contrapporre altro che una gerontocrazia capace soltanto di perpetuare sé stessa senza alcun barlume di lungimiranza.
Non era perciò difficile prevedere cosa sarebbe accaduto non appena si fosse innescato il meccanismo della glasnost gorbacëviana, e Balabanov riesce a cogliere quel momento e a descriverlo nel suo film con una crudezza brutale ma con altrettanto abile e sapiente maestria.

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Recensione a cura di Severino Faccin - aggiornata al 17/09/2009

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