Recensione poker generation regia di Gianluca Mingotto Italia 2012
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Recensione poker generation (2012)

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locandina del film POKER GENERATION

Immagine tratta dal film POKER GENERATION

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Immagine tratta dal film POKER GENERATION
 

Tony e Filo sono due fratelli molto diversi tra loro, in tutto, tranne che nella loro comune passione: il poker.

Tony (Andrea Montovoli, "Il papà di Giovanna"), il maggiore, è un fanatico di film sulla mala americana ed è il classico sciupafemmine.

Filo (Piero Cardano, "Questo piccolo grande amore"), il minore, ha una sindrome semi-autistica che lo porta a snocciolare definizioni da vocabolario ogni volta che si trova in situazioni che lo vedono in difficoltà.

Figli di Lucia e Rosario (Francesco Pannofino, "Boris" e "Notturno bus"), hanno imparato dal padre la versione italiana del poker, quella classica con le 5 carte in mano. Purtroppo solo quello, vista la costante disoccupazione del genitore, che tenta di racimolare soldi per la famiglia solo giocando nel bar del paese. Le cose si complicano quando la sorella più piccola, Maria, si ammala gravemente e necessita di una somma cospicua per le cure.

I due fratelli decidono allora di partire dalla natìa Sicilia per tentare la fortuna al tavolo verde nella metropoli Milano, ma non col poker classico, bensì con quella che è la versione sportiva dei nostri anni: il Texas Holdem.

Dopo le prime, facili vittorie, arrivano anche le sconfitte, e con quelle emergono i problemi caratteriali tra lo sprezzante Tony e l'introverso Filo, che nel frattempo viene notato dalla bella cameriera (nonché ballerina di lap-dance), Anna.

Per risolvere tutti i problemi rimane una soluzione soltanto: il più grande torneo di Poker del mondo, il Betpro Malta Poker Dream, dove i due fratelli affronteranno non solo i veri campioni, ma anche il bisogno di ritrovarsi tra loro.

Era inevitabile che il Texas Holdem finisse sui grandi schermi, così come accadde per il biliardo e per il suo più nobile antenato, il poker classico. Ma i tempi di Francesco Nuti e Pupi Avati sono lontani. Molto lontani.

Inizia bene l'opera prima del regista Gianluca Mingotto, con un ritmo affabile, con un buon sapore di tempi passati, guardando all'infanzia di Tony e Filo, alle loro prime partite in casa e fuori. Anche una buona ricerca della battuta "familiare" che non nuoce mai nelle italiche commedie. Poi purtroppo il demone. Ma non quello del giuoco, bensì quello del "voglio fare il cinema americano a ogni costo".
La litigata tra Rosario e i figli è decisamente fuori dal coro, un uomo con le sue colpe, è vero, che però fino a quel momento era visto con occhio amorevole da Tony e Filo, si sente rovesciati addosso, e tutti insieme, i suoi limiti di padre e marito. Il tutto accompagnato da una rullante batteria stile Led Zeppelin che con la Sicilia, onestamente, non c'entra molto.

L'arrivo dei due fratelli in terra lombarda fa tremendamente pensare ad una versione sicula del duo Tom Cruise/ Dustin Hoffman, facendo così calare tristemente il sipario sulla possibilità di rinverdire certi fasti del cinema italiano. Troppo facile, meglio seguire la via americana...

E così Tony diventa immancabilmente (ma perché? Perché?), la brutta copia di Tony Montana, addirittura citandolo, quando rinnega il fratello col classico: "Tu prenditi quello che ti basta, io mi prendo tutto quello che posso". Peccato che, per dire le frasi di Al pacino, non basti una T-shirt di "The Godfather". Così come solo nel cinema americano, quello di bassa lega però, succede che una Anna (Francesca Fioretti, e qui trovare un suo lavoro precedente o di comunque valido spessore è esercizio di ottimismo), sceglie di posare occhi, e non solo, su Filo.
In quale universo una bellissima stangona fa la corte ad un ragazzo semi autistico che recita a memoria la vita di James Joyce, il buon Mingotto dovrà prima o poi spiegarlo. Così come sarebbe interessante capire la trasformazione da Rain Man a 007 per trovare l'abitazione della bella cameriera, una volta presa coscienza della volontà di accettare (che sforzo immane...) la sua corte. A quel punto sarebbe stato se non altro simpatico dare visione di qualcosa di piccante, invece pure quell'attesa è vana. E questo è decisamente un male con la "M" maiuscola vista la generosità fisica della protagonista...

Ma l'aria da film americano non si arresta e dilaga nelle didascalie che accompagnano lo scenario di Malta, apparendo in stile "Mission impossibile", il che, vista la percentuale di vittoria di Raymond e Char...pardòn, di Tony e Filo, è anche verosimile, però visto come era iniziato il film, magari sarebbe bastato il cartello "Welcome to Malta" per far capire che il torneo stava per entrare nel vivo.

Infine il paradosso dei paradossi. Che siano i due fratelli ad arrivare alla finale è scontato, che Rosario riesca ad essere presente in loco e tifare per i figli è pazzesco!
Ricapitolando: famiglia senza soldi, bambina malata quasi terminale, senza le costose medicine, padre disoccupato, eppure arriva in tempo a Malta per l'heads-up (l'ultima fase, il testa a testa del Texas)...

"Regalo di Natale" e "Io, Chiara e lo Scuro" sono solo pallidi ricordi di come in Italia si raccontavano storie di giochi sportivi, racconti italiani con metodi italiani, con parole italiane. Forse la contaminazione di questo fenomeno dei nostri anni ha condizionato il povero Mingotto, la parte "spettacolare" che ha sporcato il caro vecchio poker all'italiana (repetita iuvant) ha influenzato anche questo film che poteva essere veramente molto più bello, se solo fosse stato raccontato "a modo nostro". Invece ecco i personaggi con occhiali scuri, con le cuffiette, coi cappelli strani, con cappucci che neanche facesse freddo pure ad agosto, termini anglofoni per ogni giocata ("busso" e "vedo" facevano proprio tanto schifo?), e il tutto per cosa? Per ottenere quello che è solo un grosso gioco di ruolo da dare in pasto alle televisioni.

Ma questa è tutta un'altra storia (e un'altra recensione, anche). Ciò che davvero manca è vedere un ometto con i grandi occhiali da vista e la barbetta bianca che, rivolgendosi ad un milanese un po' sovrappeso e con i baffetti, lo sfida dicendo: "lei non saprà mai con quale punto l'ho sfidata a giocarsi 250 milioni, è l'unica condizione che le ho posto, e mi sembra un dettaglio trascurabile".

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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 12/04/2012 18.08.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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