Recensione non aprite quella porta regia di Marcus Nispel USA 2003
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Recensione non aprite quella porta (2003)

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locandina del film NON APRITE QUELLA PORTA

Immagine tratta dal film NON APRITE QUELLA PORTA

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Immagine tratta dal film NON APRITE QUELLA PORTA

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"Tratto da una storia vera"

Nel 1974 un certo Tobe Hooper realizzò un film che diede la svolta decisiva al cinema low budget. Nel 2003, il produttore Michael Bay decise che era giunto il momento di realizzare un remake del celebre capolavoro di Hooper, dando l'incarico di girare il film a Marcus Nispel, regista che fino a quel momento aveva solo diretto videoclip musicali. Fermo restando che era impossibile poter ripetere l'impresa che il mitico Hooper fece nel '74, Nispel cercò in parte di dare un "volto" nuovo alla vicenda, usando quasi gli stessi elementi del vecchio film. Tra le novità troviamo la grande scritta (già citata) "Tratto da una storia vera" (?). Bè, si e no, perchè il film (ma giusto il suo movie maniac) è ispirato alla figura del seral killer cannibale Ed Gein.

Il film ci narra le vicende di un gruppo di giovani che attraversano il Texas per assistere ad un concerto dei Lynyrd Skynyrd. Lungo il tragitto caricano una giovane autoatoppista e sarà l'inizio di un incubo.

Disturbante e fotograficamente "sporco", così ci appare sin dalle prime inquadrature questo "Non aprite quella porta". L'elemento suspance fa capolino nel giro di 5 minuti, proprio subito dopo la fugace apparizione del personaggio di Pepper che "inguaia" i giovani ragazzi facendoli ritrovare faccia a faccia con il leggendario Leatherface e la sua famiglia di pazzi assassini.
La famiglia è uno degli elementi nuovi e ben riusciti della pellicola di Nispel. Nel primo film era composta solo da 3 persone (3 fratelli). Qui abbiamo invece una bella famigliola al completo, con tanto di "mamma", zii, nipoti, fratelli e sorelle. Sembrerà banale, ma questa famiglia allargata riesce ad essere inquietante quasi quanto i 3 fratelli cannibali di Hooper.
E' vero anche che non mancano gli elementi inutili all'interno del nucleo, ma il fatto di inserire un personaggio incredibilmente riuscito come lo Sceriffo Hoyt vale quasi l'intera visione del film.

Come detto prima però, non è tutto oro quello che luccica. Infatti, sotto l'aspetto dei dialoghi, il film lascia parecchio desiderare. La sceneggiatura (scritta da Michael Bay e Mike Fleiss) rischia di far sprofondare la pellicola nel classico dei Teen movie da videoteca. Dialoghi che rasentano il ridicolo e che minano a levare quell'affascinante atmosfera di terrore. Questo risulterà essere il peggior difetto di un film che poteva essere uno dei migliori remake degli ultimi anni e che invece (come al solito) spacca le opinioni a metà. C'è chi lo definisce godibile (come lo scrivente) e chi invece lo definisce "'na schifezza", ma non gli si può negare la buona riuscita a livello registico e scenografico.
Si, perchè la "casa degli orrori", al contrario del piccolo casolare del film di Hooper, è una vera reggia sudicia e malconcia. L'aspetto di queste location (compresa la stazione di rifornimento dove i ragazzi si fermano dopo "l'incidente" con l'autostoppista) è molto importante per capire il contesto e il degrado che la pellicola di Nispel ci vuole mostrare.
Inutile dire che anche in questo caso la star principale è proprio Leatherface, che qui si presenta con tanto di nome e cognome (grazie sempre alla coppia Nispel/Bay), ovvero Thomas Hewitt.

L'entrata in scena di Leatherface è molto simile a quella originale di Hooper, l'apparizione dell'energumeno dal volto sfigurato anche in questo caso viene preceduto dal suono inconfondibile di una motosega. Le scene del film, da lì in poi, cominceranno ad essere sempre più cruente aggiungendo l'elemento splatter come leitmotiv in ogni omicidio presente nel film.
Ottimi gli effetti speciali di Rocky Gher, che regala agli amanti dello splatter buoni momenti orridi che riescono a far voltare dall'altra parte anche i cultori più assidui del genere.

A livello di sceneggiatura, i dialoghi non sono un granchè e non riescono a coinvolgere pienamente. I personaggi sono appena accennati e forse questo non è un aspetto negativo, anche perchè persino la protagonista non riesce ad essere convincente apparendo superficiale e buonista in alcune situazioni. L'unico elemento positivo di questa sceneggiatura sono le frasi ad effetto dello sceriffo Hoyt.
Lo sceriffo Hoyt è interpretato dall'attore R.Lee Ermey, famoso per i suoi ruoli da cattivo e da "bastardo di turno". In molti hanno apprezzato la sua brillante interpretazione del leggendario Sergente Maggiore Hartman nel kolossal di Stanley Kubrick, "Full Metal Jacket". Doveroso per noi nominare il sergente Hartman, soprattutto per l'affinità che lo lega con lo sceriffo Hoyt.

Il cast (escludendo il già citato Ermey) è molto mediocre. Jessica Biel ("Settimo cielo") non convince per niente: pur impegnandosi a reggere il ruolo da protagonista, appare molto fuori luogo e non riesce a trasmettere quella malinconia e quella "paura" che trasmise Marilyn Burns 30 anni prima.
Andrew Bryniarski riesce a rendere bene nel ruolo di Leatherface. Si sapeva, l'eredità di Gunner Hansen era pesante quanto un macigno, ma l'ex culturista statunitense riesce a mettere in scena un bel personaggio forse anche più "selvaggio" rispetto a quello originale.
C'è da dire però che il mitico Leatherface di Hunsen era molto più insano e suscitava terrore proprio per la sua "imprevedibilità". Questo Thomas Hewitt invece pur apparendo più equilibrato, fa paura proprio per la sua imponente e (appunto) selvaggia presenza. Un pò per chi ha la fobia dei cani e si ritrova rinchiuso in una stanza insieme ad un Rottweiler senza museruola e senza guinzaglio. Quel tipo di paura che riesce a tenerti in tensione dall'inizio fino alla fine.
Il resto del cast è molto trascurabile (appunto mediocre), anche perchè tra di loro non c'è nessun Golden Globe o premio Oscar. Infatti, i vari Jonathan Tucker, Eric Balfour, Erica Leerhsen, Mike Vogel servono solo ad abbassare la qualità del film e a "regalare" un pò di carne da macello al nostro Leatherface. Inutile dire che il migliore di questa pellicola risulta proprio il già nominato R.Lee Ermey, che da solo riesce a reggere tutta la baracca pericolante di questa pellicola dalle ottime idee ma dalla realizzazione discutibile.

Buon remake di un cult della cinematografia horror, gli ottimi elementi del film si possono vedere nella regia di Nispel, negli effetti speciali e nella prova di Lee Ermey. "Non aprite quella porta" (2003) è un titolo horror che non potrà mai replicare quella grandiosa suspance e originalità del primo film di Hooper ma riesce comunque a darci una versione, meno bella ma più moderna, di uno dei più grandi film horror low budget della storia.

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Recensione a cura di HollywoodUndead - aggiornata al 19/06/2012 14.55.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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