Recensione il vento del perdono regia di Lasse Hallström USA 2005
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Recensione il vento del perdono (2005)

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locandina del film IL VENTO DEL PERDONO

Immagine tratta dal film IL VENTO DEL PERDONO

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Immagine tratta dal film IL VENTO DEL PERDONO

Immagine tratta dal film IL VENTO DEL PERDONO
 

"Il vento del perdono" ("An unfinished life") è un film drammatico tratto dall'omonimo romanzo di Mark Spragg e diretto da Lasse Hallmstron nel 2005, celebre regista svedese ben due volte candidato premio Oscar come miglior regia con "La mia vita a quattro zampe" (1985) e "Le regole della casa del sidro" (1999).
I contenuti delle pellicole di Hallmstron sono sovente legati a temi profondi, talvolta estremamente dolorosi, come l'aborto, l'incesto, la malattia mentale, il pregiudizio, ma che vengono sviluppati con estrema sensibilità e cautela. La scelta degli attori non è mai casuale ma frutto di un attento studio, e per questo motivo svariati volti celebri si sono prestati a collaborare con questo regista; basti citare Leonardo Di Caprio, Johnny Depp, Julienne Binoche, Richard Gere, Charlize Theron e Michael Caine.
Questo film regala al pubblico una coppia nuova di zecca, Robert Redford e Morgan Freeman, i quali vivono tra le incontaminate e splendide alture del Wyoming, nella pace e nel silenzio assoluto, nella ricerca della verità e della pace interiore.

RITORNO A CASA

Jean (Jennifer Lopez), scappata di casa a causa delle continue percosse subite da un violento compagno alcolizzato, fa ritorno al ranch del suocero Einar (Robert Redford) dopo molti anni dalla morte del marito Griffin, nella speranza di trovare un appoggio provvisorio per sé e la figlia di 11 anni.
Questi, non avendo superato il profondo dolore per la perdita del figlio Einar, col passare del tempo è diventato un uomo ostile e scontroso e nutre per la giovane donna un profondo ed ostinato rancore, accusandola psicologicamente di averlo derubato del suo ‘ragazzo', morto in un incidente d'auto in cui la stessa Jean era alla guida. Nel ranch troviamo anche il vecchio Mitch (Morgan Freeman), caro amico di Einar, rimasto vittima dell'aggressione di un orso, costretto al letto e a cure costanti per lenire le profonde ferite.
Nonostante le prime evidenti difficoltà, Jean e Grif rimangono a casa di Einar e il tempo scorre velocemente portando novità e molti cambiamenti. La piccola si ritrova per la prima volta a convivere con un altro membro della famiglia, oltre la madre, e la sua ingenuità cercherà di addolcire il temperamento irruento e aggressivo di Einar, che vive nella completa solitudine e circondato dagli animali della fattoria. Jean riuscirà a trovare un lavoro come cameriera nel ristorante in città, nonché l'amicizia del giovane ed avvenente sceriffo, ma il suo ex compagno non si arrenderà all'idea di averla persa e, dopo varie ricerche, riuscirà a scoprire dove vive e le farà visita per costringerla a tornare con lei.

TRE VITE PARALLELE

Il tema principale sviluppato dal regista è il dolore per la perdita di una persona cara; allo stesso tempo un figlio, un compagno, un padre. Viene, dunque, raccontato il profondo vuoto lasciato ad un padre, ad una compagna, ad una figlia, descrivendo le sensazioni e i pensieri di ben tre generazioni a confronto. Ognuno di loro ha metabolizzato questo evento in modi e tempi differenti, tuttavia le loro strade riusciranno a congiungersi per dar vita ad un profondo e amorevole rapporto.
La regia si concentra sul personaggio di Einar, sul cammino verso la redenzione e la rivalutazione delle sue convinzioni, schiavo di un dolore che lo ha portato all'isolamento sociale. Redford, probabilmente, ricopre il ruolo più interessante è più esaustivo dal punto di vista cinematografico, poiché descrive in modo chiaro ed univoco le autentiche emozioni che può provare un padre profondamente legato alla famiglia e a cui viene tolto improvvisamente l'unico figlio, quel futuro insieme ancora da scoprire, il tepore e la sicurezza di una famiglia su cui poter contare, la gioia di condividere la passione per i cavalli e per la natura, lasciato dalla moglie a causa di una convivenza diventata ormai insopportabile. Il suo indiscusso talento in qualsiasi circostanza è stato sapientemente sfruttato dal regista, il quale non si è lasciato scappare, ancora una volta, la collaborazione di un grande attore. Lo stesso vale per Di Caprio, nella splendida performance del ragazzo ritardato in "Buon Compleanno Mr Grape" ma anche per Julienne Binoche nel dolcissimo "Chocolat".
Ciò che rende godibile il film è la narrazione del lento cambiamento di Einar, prima opponente di Jean, poi suo fedele aiutante, nonché nonno amorevole. Al contrario, il personaggio di Jennifer Lopez soffre di spessore e profondità; nonostante le sia stato concesso un ruolo delicato come quello di una donna maltrattata e soggetta a stalking, manca la drammaticità adeguata nel descrivere il dolore e la sofferenza di chi subisce abusi. La Lopez si è dimostrata una valida attrice per le commedie leggere; la prova del ruolo drammatico non ha dato esito positivo, nonostante la fiducia riposta in lei da parte di Hallmstron.
Non merita decisamente lo stesso giudizio la piccola Becca Gardner, con i suoi splendidi occhi azzurri che osservano un mondo confuso e disordinato. La sua interpretazione è assolutamente valida, la dolcezza nell'avvicinarsi silenziosamente e lentamente a suo nonno regala al pubblico qualcosa di estremamente vero e genuino. Il suo ruolo sottolinea una verità assoluta: le parole non sono necessarie quando sguardi, silenzi e piccoli gesti sanno raccontare poeticamente un'emozione.
Il quarto personaggio, che comunque merita attenzione, è Mitch, la voce della coscienza di Einar, l'elemento chiave del film che aiuta suocero e nuora a trovare un punto d'incontro da cui ripartire.

LA FORZA DELLA REDENZIONE

Mitch è il primo personaggio a realizzare il potente dono della redenzione; nonostante le dolore ferite, riesce a perdonare il ‘suo' orso e provare per lui un profondo affetto.

"Ha fatto quello che qualsiasi orso avrebbe fatto, ha seguito il suo istinto"
dal film

Si preoccupa per lui tramite Einar e gli rende la libertà quando realizza che, rinchiuso in una gabbia, non sarebbe stato pericoloso per altri uomini ma avrebbe espiato una colpa che realmente non aveva mai avuto. Ecco che la similitudine con Jean si fa più nitida. Dopo la morte di Griffin, anche lei è intrappolata in una gabbia, circondata da sensi di colpa riguardanti l'incidente che ha spezzato e stravolto un'intera famiglia. La scelta di un compagno molesto non è casuale; il profondo senso di responsabilità l'ha spinta negli anni alla ricerca della punizione per aver arrecato tanto dolore. Ma Jean è per Einar ciò che l'orso è per Mitch: entrambi rinchiusi e odiati per sofferenze che non hanno generato con volontà, ma frutto di un destino avverso. A volte accadono cose che non sappiamo spiegare,ma solo il tempo ci aiuta prima a decodificare, poi capire e alla fine apprezzare. E' il ciclo naturale della nostra vita. Ci piace ricordare l'ultimo dialogo tra Einar e Mitch, che chiude elegantemente la storia come ultima pagina del libro:
"Dici che ai morti importa qualcosa delle nostre vite?"
"Si, io dico di si. I morti perdonano i nostri peccati. E credo che, in fondo, non sia difficile per loro".

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Recensione a cura di Federica Ragnini AKA faith81 - aggiornata al 29/01/2013 14.26.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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