Recensione il caso moro regia di Giuseppe Ferrara Italia 1986
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Recensione il caso moro (1986)

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locandina del film IL CASO MORO

Immagine tratta dal film IL CASO MORO

Immagine tratta dal film IL CASO MORO

Immagine tratta dal film IL CASO MORO
 

16 marzo - 9 maggio 1978: sono le date dei cinquantacinque giorni della prigionia subita dal presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, prima che fosse eseguita la sentenza di morte da parte di un nucleo delle Brigate Rosse.

Il film di Giuseppe Ferrara è un film che racconta una fetta importantissima della storia d'Italia. Questo film vuole essere una ricostruzione di quei giorni oscuri e degli eventi che accaddero nella politica italiana durante e dopo il sequestro Moro.
Il film, tratto dal libro "I giorni dell'ira. Il caso Moro senza censure" di Robert Katz, anche co-sceneggiatore della trasposizione filmica, è il primo film a trattare interamente questo scottante tema.

Lo spettatore attento nel guardare questa storia si ritrova avvolto da una paurosa oscurità, da ombre imponenti; si ritrova al cospetto di una storia "funebre". Moro è un elemento di correlazione tra il potere e la responsabilità, tra il linguaggio e le azioni che ne conseguono.

Che cosa ha pensato Aldo Moro in quei cinquantacinque giorni? Che cosa ha vissuto realmente? Con assoluto rispetto Giuseppe Ferrara tenta di descriverci questo, senza tralasciare i dettagli del linguaggio delle lettere che Moro scrisse dal covo in cui era costretto, e del linguaggio usato dai brigatisti per rendere pubblici i loro comunicati.
Conseguentemente mostra le azioni del Potere Politico, senza puntare il dito accusatore contro nessuno in particolare, ma attraverso ricerche e studio cerca di tracciare il modus operandi del Governo in quei giorni. Tutto il narrato è rilevato in maniera simbiotica dalle musiche di Pino Donaggio.

Ferrara cerca di seguire i fatti ma tali fatti finiscono per astrarsi, sfuggire alla loro stessa natura e scivolare in una dimensione in cui tutti si rivela inevitabilmente ambiguo. Al centro del caso Moro c'è il Mistero, senza questo punto buio gli avvenimenti non acquisterebbero senso, poiché non ci sarebbe "un caso Moro". "Il caso Moro" è in realtà il Mistero Moro, perché, nonostante i tentativi di decifrare le svariate lettere scritte dal presidente della DC e pubblicate sui giornali nazionali, nonostante gli studi approfonditi sulla materia, l'ombra centrale della questione non pare essersi rischiarata. L'impressione imposta dal film è che tutto nel Caso accada come in letteratura a causa di quella specie di "fuga dei fatti" che sembrano astrarsi nel momento stesso in cui accadono:

"Si può sfuggire alla polizia italiana- alla polizia italiana così come è istruita, organizzata e diretta- ma non al calcolo delle probabilità."
Leonardo Sciascia, 1978

Il film di Ferrara è dunque un film sulla morte, sulla scrittura e sulla prigionia, e la struttura di questo ragionamento assomiglia a quella di un saggio critico. Ferrara non fa di Moro né un martire né un eroe, a lui interessa porre l'accento sull'antitesi di un uomo solo contro l'intera società.
Lo statista durante la sua prigionia è solo, solo di fronte all'enigma della propria imminente morte. La figura appellata continuamente dai brigatisti come Presidente viene a ridursi con il succedersi dei minuti e dei millmetri di pellicola da quella politica a quella di uomo comune: solo, in un momento di sconforto, debilitato fisicamente e abbandonato moralmente. Comunque figura dignitosa dinnanzi alla violenza, all'omertà e alla sentenza di morte.
Ferrara ci racconta la vicenda del presidente della DC come se fosse stata una tragedia già scritta, per questo ha attirato su di sé e sul grande Volontè, che interpreta lo statista, innumerevoli critiche da parte di ogni fazione politica. La regia e la sceneggiatura si impegnano a sottolineare che il privilegio di avere Potere e di essere a capo di qualcosa hanno un costo. Coloro che detengono tali privilegi sono più facilmente esposti a giudizi severi, a sentenze ineluttabili e ad atti di violenza. Come afferma uno dei brigatisti stessi: "Siamo in guerra… E' cominciato l'attacco al cuore dello Stato."

E il Governo come ha agito per liberare Aldo Moro? Il Potere che lo ha condannato ad una posizione tale da poter essere sequestrato quale reazione ha avuto? La risposta del regista è all'interno del film: "Hanno fatto il governo in cinque minuti: l'ammucchiata della paura."

Il film di Giuseppe Ferrara è a tratti freddo proprio perché sceglie di ricostruire un percorso, un fatto, un delitto. Ferrara indugia spesso sul volto invecchiato e stanco di Volontè, perché mira a ritrarre come un simile evento sia stato vissuto dal protagonista e anche dai suoi carcerieri.
Il film è coraggioso, in quanto è stato il primo film sull'argomento, ed è un film anche fortemente politico e religioso, anzi spirituale, poiché lo statista democristiano era un uomo di tal fattura.

Apprezzabile l'interpretazione di Volontè, che con il suo sguardo mite e i suoi movimenti lenti e costretti si contrappone alla frenesia delle azioni iniziali delle Brigate Rosse e delle successive perquisizioni da parte della polizia di Stato.
Gian Maria Volontè, grazie alla sua diligente interpretazione ottenne l'Orso d'oro al festival di Berlino nel 1987 come migliore attore maschile. Questo è un film che appassiona per la vicenda narrata, per quel pezzo di storia d'Italia che nessuno dovrebbe mai dimenticare, un film che non eccede e non spettacolarizza l'accaduto, non lo rende fiction.

Nel 2003 Renzo Martinelli firma "Piazza delle cinque Lune", un film che tratta la dietrologia e i misteri del caso Moro, un film sicuramente più dinamico rispetto a quello di Ferrara ma molto meno di denuncia, più dedito alla spettacolarizzazione e alle inquadrature similari a fiction televisive.

Del 2003 è anche il film di Bellocchio intitolato "Buongiorno, notte", presentato alla mostra di Venezia, dove ottenne il premio per un contributo individuale di particolare rilievo per la sceneggiatura e in seguito premiato con un Globo d'oro per Maya Sansa (attrice protagonista) e un David di Donatello per Roberto Herlitzka (miglior attore non protagonista).
Il film di Marco Bellocchio ebbe un notevole successo di critica e il regista ha continuato, grazie a questo film, a indagare sui punti d'ombra della civiltà, sulla deriva sociale del nostro Paese. Quello di Bellocchio, rispetto al film di Ferrara è un film decisamente più al femminile e meno lineare.

Ritornando a "Il caso Moro", il film fu accolto positivamente dalla critica specializzata, anche se non mancarono decise e forti polemiche all'uscita nelle sale, polemiche fomentate proprio da forze politiche come la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, che accusarono protagonista e regista di volere processare gratuitamente il partito politico di cui Aldo Moro era Presidente.

Comunicato numero nove delle Brigate Rosse:
"Concludiamo… la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato".

"C'è anche una storia del bene, necessariamente mescolata a quella del male, ma sostanzialmente separata, che potrà un giorno riavere il sopravvento, per un fortunato concorso di circostanze obiettive, e anche un poco per nostra volontà e intelligenza. Forse."
Italo Calvino da Il Corriere della Sera - Riflessione sul Bene e sul Male.

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Recensione a cura di foxycleo - aggiornata al 09/02/2010

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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