stranger than paradise regia di Jim Jarmusch USA, Germania 1983
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stranger than paradise (1983)

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locandina del film STRANGER THAN PARADISE

Titolo Originale: STRANGER THAN PARADISE

RegiaJim Jarmusch

InterpretiJohn Lurie, Eszter Balint, Richard Edson, Cecilia Stark, Danny Rosen

Durata: h 1.29
NazionalitàUSA, Germania 1983
Generecommedia
Al cinema nel Dicembre 1983

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Trama del film Stranger than paradise

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Voto Visitatori:   7,19 / 10 (13 voti)7,19Grafico
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Voti e commenti su Stranger than paradise, 13 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Goldust  @  16/02/2023 15:46:27
   7 / 10
Con il suo stile minimale ed indolente e con un'ironia sotterranea ecco che Jarmusch fa il suo debutto con un film che è poco più di una raccolta di sketch legati in modo arbitrario per formare una riflessione sulla vita di reietti o presunti tali di periferia, qui alle prese con la difficoltà di integrazione di un'America che non è certamente quella odierna. I limiti del budget si fanno sentire nella scarna messa in scena eppure non tolgono forza al tourbillon di avventure e contraddizioni che accompagna il trio protagonista. Potrà piacere o meno ma rappresenta il punto di partenza per un autore in un certo senso iconico ed assolutamente personale nella sua visione del mondo. E anche la lentezza diverrà un marchio di fabbrica di ogni suo film.

7219415  @  23/10/2016 23:36:47
   7 / 10
ottimo erordio di Jarmusch, piacevole "on the road"

hghgg  @  29/11/2015 13:29:33
   8 / 10
La mia ammirazione per il cinema di Jim Jarmusch non è un mistero per alcuni utenti qui, ho sempre trovato a me molto affine il suo cinema, il suo stile, la sua capacità narrativa delicata, discreta, ciondolante, cupa, con quell'aria molto "Alternative-Jazz" che in effetti fa un po' snob ma in realtà è genuina e viscerale, senza contare le sue qualità di regista, uno che si è cibato di Espressionismo, Neorealismo, Novelle Vague e New Hollywood frullando il tutto in uno sformato tutto suo che lo ha reso uno dei registi più particolari e personali degli ultimi trent'anni.

"Stranger Than Paradise" è l'inizio di tutto, il primo lungometraggio, zoppo e sonnolento road-movie (con i tre protagonisti perennemente scàzzati) diviso in tre capitoli, sviluppato con tanta venerazione verso il cinema di Wim Wenders, verso l'Espressionismo tedesco (l'uso del bianco e nero e la fotografia mi ci hanno rimandato spontaneamente) e alla Novelle Vague come è già stato detto da altri prima di me.

Un esordio genuino come pochi, totalmente realistico e con pochissimo di cinematografico nello stile della narrazione e nell'analisi dei rapporti tra i tre protagonisti, realizzato con un nonnulla e interessantissimo da un punto di vista della regia, con Jarmusch che mette subito sul piatto il suo stile unico, che fatico a descrivere a parole, ma che sento legato a doppio filo con un certo tipo di musica "spoglia e metropolitana" magari proprio come quella dell'amico e collaboratore John Lurie, uno dei tre attori protagonisti del film e ovviamente autore della colonna sonora, discreta e inconfondibile, di questo lavoro come di tutti gli altri film di Jarmusch negli anni '80.

Ecco in "Stranger Than Paradise" c'è già, anzi c'è soprattutto qui, quel bel vizio di Jarmusch di trasformare dei musicisti (magari pure amici suoi) in attori, vizio che porterà al primo grande ruolo come attore anche il signor Tom Waits in "Daunbailò" per dire l'esempio più eclatante.

Qui tutti e tre gli attori sono, o diventeranno in seguito, musicisti e pure di un certo livello o almeno attivi in un circolo di musica e collaborazioni che io adoro, per me sono nomi importanti, quando non enormi. Piccola necessaria (per me, a voi non fregherà una mazza) parentesi.

Ovviamente dei tre il carico da 90 è John Lurie, che nel 1984 era già un'istituzione dell'alternative-jazz-no-wave eccetera, straordinario leader (con il fratello) dei Lounge Lizards, tutt'ora impegnato in progetti e collaborazioni di gran qualità. Come attore è stato co-protagonista anche di "Daunbailò" poi apparizioni qua e la (con l'amico Benigni ne "Il piccolo diavolo" o in "Wild at Heart" di Lynch). A lui però le cose riescono sempre meglio con un sax tra le labbra.

Eszter Balint, nemmeno maggiorenne all'epoca, che qui interpreta Eva, è quella che si è data più tardi alla musica, solo dalla fine degli anni '90, nel frattempo piccole apparizioni e partecipazioni con Woody Allen e Steve Buscemi. Dalla fine degli anni '90 la Balint, cantante, violinista, all'occorrenza chitarrista e autrice ha iniziato la carriera solista (col contagocce) alternandola ad una serie di prestigiose collaborazioni molte delle quali sempre nel circolino Waits/Lurie. Collaboratrice fissa di Marc Ribot infatti (storico chitarrista di Waits e, tra le tantissime cose, chitarrista proprio dei Lounge Lizards) dal 2009 ad oggi è membro fisso dei "Marc Ribot's Ceramic Dog" dal vivo e nel secondo disco in studio. Recentemente è tornata ad incontrarsi anche con Lurie nel progetto "Marvin Pontiac", una bella reunion vent'anni dopo questo film. Vanta partecipazioni anche con gli Angels of Light e gli Swans di Michael Gira.

Richard Edson è stato addirittura il primissimo batterista dei Sonic Youth, nientemeno, nel loro sconvolgente e sperimentalissimo ep d'esordio nel 1982, prima di lasciare le pelli a Bob Bert e suonare nei suoi Konk. Ha collaborato anche, ovviamente essendo uno dei Sonic Youth, Glenn Branca e con Lydia Lunch (ovviamente, amicona degli Youth). Dei tre è quello che si è dedicato meno alla musica e più al cinema con il tempo (le tracce importanti della sua attività musicale si fermano a metà anni '80).

Ecco è questo il bello di Jarmusch, tra le altre cose, e per me non è da poco, nei suoi film ci ritrovo musiche e musicisti che adoro, spesso impegnati come attori. Il che fa il paio con il suo bellissimo stile narrativo, quieto, sonnolento ma davvero mai noioso. E se non è riuscito ad annoiarmi con "Stranger Than Paradise" un film in cui non succede nulla fino a 5 minuti dalla fine allora vuol dire che io e il suo cinema andiamo davvero d'accordo.

Il finale è geniale, divertente e malinconico allo stesso tempo. Con quella malinconia un po' "indie" e molto "artistica" che l'occhio e la penna di Jarmusch non fanno mai mancare nei suoi film.

Per me è un grande film, un grande esordio con una regia e uno stile tutti da ammirare, una splendida fotografia "espressionista" in uno stile estremamente realistico, quello inconfondibile di Jim Jarmusch. E la sua schiera di suonatori a dare vita alle sue storie.

Canzone del film (come sarà "Jockey Full of Bourboun" di Waits in "Daunbailò") "I Put a Spell on You" di Screamin' Jay Hawkins, tanto adorato da Eva e probabilmente anche dalla Balint stessa e, a proposito, non ci credo che a John Lurie non piace Hawkins, non è credibile il suo personaggio che dice questa cosa con la faccia di Lurie.

Gioiello da riscoprire, per poi godersi gli ancora più centrati e bei classici del suo cinema.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  28/10/2010 22:58:06
   7½ / 10
On the road svagato e libero,stilisticamente anarchico e fuori da ogni regola o convenzione. Diviso in tre parti,nato come un semplice corto poi esteso,Stranger Than paradise è un racconto lento e denso di malinconia su difficili rapporti personali tra tre amici,su un viaggio che porta da nessuna parte e la loro voglia di uscire dalla quotidianità; anche se ambientato di volta in volta in luoghi diversi tra loro per clima e situazioni non sparisce mai la sensazione di vedere un cinema fatto di pochi dialoghi e poche (apparentemente) idee che basa tutto sull'atmosfera stranulata e da nouvelle vague aiutata dal bianco e nero. Si sente qualche influenza di Wenders,collaboratore a modo suo dato che il film di Jarmusch è stato realizzato con gli scarti della pellicola de Lo stato delle cose.
Il viaggio lento e con pochissima azione fluisce via con lentezza incredibile ma mai esasperante,guidata dal caso e da un percorso fatto più di domande che di risposte. Il gruppo/trio unito dal caso sarà da quest'ultimo diviso in maniera neanche amara per ciò che abbiamo visto,forse liberatoria per tutti e tre. Ma con Jarmusch non bisogna fare troppe congetture,bisogna lasciarsi trascinare dalle onde del suo cinema così apparentemente improponibile eppure affascinante e coinvolgente.

Gruppo STAFF, Moderatore Lot  @  03/02/2010 21:59:34
   7 / 10
Stralunato (come tutto quel che farà successivamente) esordio low-budget di Jarmusch, una specie di nouvelle vague east coast, minimale e malinconica...

Invia una mail all'autore del commento s0usuke  @  25/01/2010 18:08:23
   7½ / 10
Folle e malinconica storia di 3 ragazzi che si rapportano, si studiano, si amano ma che il destino prontamente non tarderà a dividere secondo un criterio forse neanche troppo casuale.

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  26/11/2009 18:44:00
   8 / 10
Uno degli esordi più interessanti della storia del cinema (senza contare il mediometraggio dell'80 "Permanent vacation"). Dopo l'esperienza come assistente di Nicholas Ray e di Wim Wenders, il trentunenne Jim Jarmusch dà vita ad un'opera divisa in tre atti, che è un vero e proprio inno all'"underground" e al "low budget" (il film è stato girato con gli scarti della pellicola de "Lo stato delle cose"): tra echi "nouvelle vagueiani" e "wendersiani", "Stranger than paradise" si caratterizza per un'estetica particolarissima, dove gli inserti o dissolvenze in nero fungono da cornice ai singoli momenti della narrazione, che danno così l'idea di frammenti di vita in cui si sintetizzano esistenze giovanili ("bruciate") tutte dirette verso la disillusione. Non esiste alcun "new world", ma solo una realtà, metropolitana (New York), fredda (Cleveland) o assolata (Florida) che sia, uguale ovunque e che conduce tutti, in virtù pure di un Caso beffardo, verso strade divergenti (implicito rimando a "Bande à part"?). Temi già noti e ampiamente trattati, ma se non altro riproposti con un minimalismo efficacissimo e originale. Per il resto si tratta d'un "road movie" che, se da un lato, si rifà all'incedere lento de la "Trilogia della strada" (ma senza raggiungere la portata esistenzialista del primo Wenders), dall'altro se ne discosta per la sua struttura diegetica spezzata.
Della capacità comunicativa del giovane Jarmusch forse, oggi, non è rimasto pressocchè nulla.

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Ultima risposta 19/03/2010 15.16.29
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Guy Picciotto  @  16/09/2009 13:49:44
   9 / 10
Girato con gli scarti di pellicola de "lo stato delle cose" di Wenders, l'esordio che ha rivelato il talento stralunato di Jim Jarmusch. La non-storia di due looser newyorkesi e la cugina ungherese che vanno in Florida per tentare la fortuna alle corse per poi perdere tutto e perdersi di vista. Un minimalismo dirompente , una narrazione frammentata da micro-piani sequenza e moltissime pause con fotogrammi in nero accompagnate dai quartetti d'archi orchestrati da John Lurie ex Lounge Lizards. Tanta poesia urbana e delizie non-sense per una rilettura ironica del noir e del road movie. La poetica dell'insignificante.

Tom24  @  26/08/2009 11:38:59
   8½ / 10
Capolavoro di Jim Jarmusch. Magnifica raffigurazione della waste land americana, ritratto vuoto e immortale. Finale splendido.

donfabios  @  22/11/2008 01:07:09
   5 / 10
non posso andare oltre il 5 per questo film. interessanti alcune scene, ma la staticità e la passività del film sono insopportabili anche per uno come me a cui piace molto bergman. film reso ancora più pesante da un bianco e nero fuori luogo e dalla sottotitolazione (peraltro nel mio caso di cattiva qualità). Un road movie alla rovescia, con un protagonista "tu vuoi fa' l'americano" travolto insieme ai suoi due compagni dall' insopportabile immobilità dell'essere. Per fortuna il finale incuriosisce.

4 risposte al commento
Ultima risposta 23/11/2008 13.37.03
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Gruppo COLLABORATORI Hal Dullea  @  26/07/2008 13:56:34
   2 / 10
I due commenti che precedono il mio sono pressoché perfetti nell'analisi, e ricordano quantomeno che Jarmusch può essere compreso e giudicato solo partendo come minimo da quest'opera seconda, altro che DBL, Dead Man, Ghost Dog o il Broken Flowers di domani sera in tv. Già qui c'è tutto l'armamentario dei limiti del regista: minimalismo e road movie nella loro accezione peggiore. Sopravvive l'idea della frammentazione filmica, non tanto con dissolvenze incrociate attraverso un nero, ma con dei veri e propri inserti di pellicola non girata fra una scena e l'altra. La sensazione è quella d'un recupero della fenomenologia europea fino alle teorie della mente secondo le quali noi RICOSTRUIREMMO memorie e ricordi in base alla nostra specifica vena FABULATORIA. I celebri tempi morti di quest'autore indicherebbero perciò anzitutto una simile presa di posizione filosofica, ancora oggi plausibilissima.
Si salva pure il titolo davvero originale, tanto da meritarsi d'essere l'unica locandina che ho appesa in camera. E un punto in più rispetto al mio consueto 1.

Mauro Lanari

1 risposta al commento
Ultima risposta 18/10/2008 02.56.13
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Beefheart  @  21/04/2008 16:40:56
   7½ / 10
Secondo lungometraggio di Jarmusch che, sulla falsa riga del road-movie, riprende il discorso iniziato con il primo e che proseguirà nei successivi, sulla solitudine dell'individuo che vaga alla perenne ricerca di comunicabilità e di qualcosa che colmi gli immensi vuoti spirituali e materiali che ne caratterizzano l'esistenza. Pare che il tutto abbia richiesto solamente 13 giorni di lavorazione ed una spesa complessiva di circa 120 mila dollari. Tutto infatti tende ad un esasperato minimalismo, dovuto ad esigenze in parte economiche ed in parte stilistiche, volto ad evidenziare una quotidianità fatta di niente e di nessuno. Scabrosità, violenza e scene ad effetto, Jarmusch non sà nemmeno cosa siano; al contrario, protagonisti e chi li osserva, storditi dal pallido grigiore cromatico e psicologico che fa da sfondo agli eventi, vedono le loro emozioni ridotte ai minimi termini. Non a caso la pellicola è di un eccezionale bianco e nero decisamente più bianco che nero. Anche in questo caso, nell'allestimento delle ambientazioni, c'è parecchio beat-style, che trasuda dallo squallore e dalla povertà degli interni, arredati poco e male ed abitati da personaggi altrettanto "essenziali", "disomogenei" e "slegati" tra di loro. L'America di Jarmusch, al solito, è rigorosamente desolata e desolante, sia per chi ne fa parte, sia per chi se l'immaginava diversa e fatica ad integrarsi. Una storia assai povera di avvenimenti raccontata con una lunga serie di piani sequenza, spesso ad inquadratura fissa, intervallati da frequenti dissolvenze in nero. Tutto questo, suppongo, al fine di caricare di solennità anche i particolari più insignificanti. Un film suggestivo anche nella capacità di astrazione dalla realtà attraverso la totale assenza di riferimenti al tempo che sembra scivolare addosso ai personaggi. In questo contesto impersonale e mortificante non mancano comunque scene ironiche e grottesche come il lungo piano sequenza che insiste sui protagonisti seduti, uno accanto all'altro, nella buia sala cinematografica, con i volti scolpiti ed illuminati dalle luci del film in proiezione, intenti a mangiare pop-corn con gesti lenti, ripetitivi ed ipnotici. Simpaticamente assurdo anche il passaggio in cui la protagonista si imbatte casualmente in un estraneo che, per via del cappello che indossa, crede di riconoscerla come la persona che stava aspettando, le consegna una mazzetta di dollari e se ne và anonimamente, lasciandola, ancora una volta, sola e perplessa. Eccezionale infine la scena dei tre protagonisti girovaghi, fermi a contemplare e decantare il "bellissimo" paesaggio di Cleveland, che però il regista ci mostra con uno sfondo talmente saturo di bianco da lasciare visibile solo il primo piano. Niente di meglio per ribadire il concetto che, gira e rigira, ciò che rimane è sempre e solo il niente ovattato. Azzeccatissimo, in tal senso il finale beffardo. Non male sia le musiche blues di Screamin' Jay Hawkins sia gli intermezzi ad archi di John Lurie; il quale, insieme al collega musicista Richard Edson, si distingue anche per l'efficacissima interpretazione recitativa. Un prodotto ormai un pò superato ma comunque godibile e meritevole sia contestualizzato nelle sue coordinate storico-artistico-geografiche, che non.

sonhador  @  24/01/2008 22:29:25
   9½ / 10
magnifico. il capolavoro di Jarmusch. Penso che l'incredibile lentezza sia paradossalmente il segreto della bellezza di questo film in quanto lo rende realistico come pochi altri nella storia. Soprendente il finale. Attori bravissimi..Da vedere assolutamente in lingua originale.

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