the elephant man regia di David Lynch Gran Bretagna 1980
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the elephant man (1980)

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locandina del film THE ELEPHANT MAN

Titolo Originale: THE ELEPHANT MAN

RegiaDavid Lynch

InterpretiAnthony Hopkins, Anne Bancroft, John Hurt, John Gielgud, Wendy Hiller, Freddie Jones

Durata: h 2,05
NazionalitàGran Bretagna 1980
Generedrammatico
Al cinema nel Settembre 1980

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Trama del film The elephant man

John Merrick, con il cranio orrendamente deformato a causa di una malattia, è usato come attrazione in un circo. Viene salvato da un medico che lo introduce nella Londra vittoriana, dove la sua situazione di "diverso" non cambia...

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Voto Visitatori:   8,79 / 10 (322 voti)8,79Grafico
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VINCITORE DI 1 PREMIO CÉSAR:
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Voti e commenti su The elephant man, 322 opinioni inserite

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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  28/05/2009 00:02:17
   10 / 10
Mi è rimasto dentro questo film. Non me lo dimenticherò mai. E’ bellissimo non solo per gli splendidi valori che esprime, ma soprattutto per come vengono espressi, anzi è proprio la tecnica cinematografica l’aspetto decisivo che fa di questo film un capolavoro.
I singoli elementi tecnici del film s’incastrano alla perfezione, con in evidenza soprattutto il montaggio. Ogni scena si fa notare per la sua concentrazione e per la sua essenzialità. Tutto, ma proprio tutto contribuisce a dire qualcosa, a creare la progressione emotiva e riflessiva, a rafforzare il messaggio. Non c’è nemmeno un’inquadratura che sia superflua o inutile. Sono rimasto sbalordito. Raramente ho visto un film così concentrato sul suo messaggio e così efficace nel trasmetterlo.
Già le prime inquadrature di natura simbolica e onirica stabiliscono subito lo stato d’animo, lo spirito del film: qualcosa di sofferente, sentimentale, interiore. Seguono immagini in uno splendido, nitido e affascinante bianco e nero che descrivono una fumosa Londra ottocentesca. Automaticamente vengono alla mente i grandi film degli anni ’30 basati sull’horror (tipo Frankenstein) e soprattutto Freaks di Browning, espressamente citato in più di una scena. Quello dell’ambientazione è un aspetto importante del film. Spesso ci sono panoramiche su ciminiere fumanti, operai al lavoro in fabbrica. Si vedono sordidi quartieri con frotte di poveri spesso ubriachi e donne di facili costumi. Allo stesso tempo c’è la bella, ricca e raffinata società. Questo per non farsi illusioni sui miti di “progresso” dell’epoca e di come accanto alla civiltà e alla bellezza di forme esteriori conviva un mare di sfruttamento, abbandono, degrado e bruttura soprattutto morale. Insomma il brutto non viene dalle deformità fisiche esteriori, ma dall’ambiente e dalle deformità dell’animo (perversioni e morbosità). Questo è il messaggio base del film: è il normale che è abnorme, brutto e schifoso, non chi appare come tale.
Vista l’importanza e la forza del messaggio si perdona a Lynch di avere creato personaggi e situazioni fin troppo perfetti e puri, a cominciare dal protagonista: L’Uomo Elefante. All’inizio viene presentato come una specie di bestia; la mdp ce lo fa solo intravedere e ce lo mostrerà in pieno solo nel momento in cui lo vede spaventatissima un’infermiera, trasmettendo a noi spettatori la stessa impressione. Sembra a tutti gli effetti un ritardato e invece rivela improvvisamente linguaggio e doti intellettive inaspettate. Questo è forse un punto debole del film. Lo si può spiegare con il fatto che lui stesso si è forse introiettato la figura di ebete e bestia imposta dagli altri e ha finito per identificarsi e per mostrarsi così con tutti. Come un gattino abbandonato, si è rassegnato a subire in silenzio e a diffidare di tutti e questo senso di inferiorità, di rassegnazione fatale se lo porterà dietro fin quasi alla fine del film, quando in una scena cruciale avrà finalmente il coraggio di affermare se stesso, la sua identità. A questo punto il percorso spirituale e paradigmatico del film si è completato e Lynch ci fa accomiatare dal suo personaggio/messaggero proprio al culmine della parabola, apposta per non sciupare l’effetto partecipazione/commozione e lasciarlo al suo zenit, quasi santificandolo. Così l’Uomo Elefante entra a pieno titolo in quella sublime categoria di personaggi umili, insignificanti ma così belli interiormente e grandi di sentimento, come l’Idiota di Dostoevskij e il Vagabondo di Luci della Città.
L’impronta tutto sommato ottimista (o almeno fiduciosa nella ragione) è rafforzata dal personaggio di Treves. Razionalista e filantropo – tratti tipicamente ottocenteschi - è però molto moderno nel suo interrogarsi e mettersi in discussione di fronte al valore delle sue azioni. Anche lui quindi deve fare i conti con una figura imposta dagli altri che si è dovuto introiettare (quella di medico di fama e di successo) e anche lui alla fine trova il coraggio di affermare la sua parte genuina e profonda di uomo solidale e pari – non superiore – agli oggetti che studia e che cura.
A contrasto con Treves c’è la figura del padrone dell’Uomo Elefante, che rappresenta invece la parte oscura, istintiva, morbosa e irrazionale dell’animo umano. Il suo rapporto con L’UE è molto oscuro, fatto di amore-possessione-distruzione. E’ questa, secondo Lynch, la parte negativa che va sconfitta.
E’ interessante fare un confronto con Pigmalione di G.B. Shaw e con Il mistero di Kaspar Hauser di Herzog. In entrambi vicende simili sono viste in maniera molto più pessimista e distaccata. Non c’è sentimentalismo ma molta normalità e banalità. Le persone che istruiscono mantengono sempre il loro ruolo di maestri superiori e indifferenti nei confronti degli oggetti studiati, i quali non vengono considerati come esseri dotati di sensibilità e sentimento. Lynch invece ci fa intravedere che forse è possibile usare insieme e in armonia la ragione e il sentimento. Si può capire, si può amare. Bello, splendido messaggio. E poi niente muore, niente muore, niente muore.

2 risposte al commento
Ultima risposta 29/05/2009 08.52.07
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