le assaggiatrici (2025)

Incredibile come una storia come questa sia arrivata a noi solo perche' una 90 enne Tedesca poco prima di morire abbia deciso di abbattere questo muro di omerta' sinceramente poco necessario.

Ancora ci sono storie e aneddoti della seconda guerra mondiale che devono essere raccontati? Per altro questo riguarda direttamente proprio Hitler.

Il regista riesce a metterti a tavola con le "fortunate" assaggiatrici che ad ogni boccone richieranno di morire. La tensione è ben creata, il cast fa la sua buona parte e il tutto da' un respiro internazionale ad un film quasi tutto italiano.

Utilissimo quantomeno per conoscere questa assurda storia e magari per comprarsi il libro da cui è tratta...

Un buon film specialmente la prima parte nella seconda invece diventa troppo lento,
la protagonista è veramente brava nella sua interpretazione,finale un pò scontato si capisce abbastanza bene come finirà.
Da vedere

La presenza di Hitler aleggia nella Tana del Lupo, suo rifugio personale nella Prussia orientale, pur non manifestandosi mai se non per un messaggio diffuso per radio. Un piccolo gruppo di donne prelevato dalle loro abitazioni e portate nel rifugio per fare le assaggiatrici di vino e verificare sulle loro pelle se sia avvelenato o meno. Donne nubili, vedove con figli o con mariti in guerra. Sembra quasi una roulette russa quella descritta da Soldini con uno stile molto rigoroso e con una messa in scena, specialmente intorno alla tavola imbandita, che tende al pittorico. Approfondisce le caratteristiche di questo gruppo eterogeneo per estrazione sociale e molte di loro solidarizzano, mentre al fronte l'esercito tedesco batte in ritirata dalla Russia. Un ritratto del potere prettamente maschile sulla donna, inutile al fronte e soggiogato dai voleri di un dittatore. Un film interessante per come Soldini crei un'atmosfera sempre più opprimente all'interno della Tana del Lupo, ma lasciando spazio ai sogni di queste donne di prima e di ciò che sarà dopo la guerra.

Discreto lavoro che racconta un particolare poco noto di Hitler: il fatto che per un certo periodo il suo cibo veniva testato da delle donne, per evitare avvelenamenti. Da questo spunto storico, nasce il romanzo da cui è tratto questo film. Niente di memorabile ma guardabile.

"Quante probabilità ci sono che sia avvelenato?" "Rischiamo comunque di morire tutt'i giorni". Fosse presa sul serio almen'una volta, quest'argomentazione svuoterebbe il senso del cinema antibellico per inserirlo nel mare magnum dell'opere dedicate alla nostra finitudine. Soldini adatta l'omonimo Premio Campiello 2018 della Postorino, che infatti apre il suo testo con Brecht: "Nel mondo l'uomo è vivo solo a un patto: / se può scordar che a guisa d'uomo è fatto", e tiene la guerra offscreen. Ma prima d'accettare l'incarico, la trasposizione era stata offerta alla Comencini che l'aveva sviluppata finché costretta ad abbandonare la regia, ma non la sceneggiatura, per via dell'accavallamento con "Il treno dei bambini". L'esito pasticciato è indigesto, con uno stile imprevedibilmente televisivo per il filmmaker milanese cresciuto a Rohmer e Antonioni: archi, primi piani, svenimenti. "L'ho visto ma non l'ho sentito" (Davide Turrini), "trama esile" (Valerio Caprara), "onesto ma non riesce ad incidere" (Andrej Bosco), "cerca una strada più intima, però... resta ... a metà strada, in una strana terra di mezzo, anche affascinante, ma dove l'impeto ... è frenato da una forma elegante e fredda" (Simone Emiliani).

Pagina cupa e drammatica della seconda guerra mondiale (di cui, fino a neanche 15 anni fa si sapeva praticamente nulla). Notevole la ricostruzione storica e le ambientazioni.
Si svolge per gran parte al chiuso, aumentando il senso di angoscia e claustrofobia.
Prima parte potentissima, ho notato qualche incertezza nello sviluppo nella seconda parte, quando, da una parte, l'atteggiamento dei soldati diventa via via più oppressivo e coercitivo, dall'altra le storie personali delle protagonista acquistano spessore.