Recensione highlander - l'ultimo immortale regia di Russell Mulcahy Gran Bretagna 1986
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Recensione highlander - l'ultimo immortale (1986)

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locandina del film HIGHLANDER - L'ULTIMO IMMORTALE

Immagine tratta dal film HIGHLANDER - L'ULTIMO IMMORTALE

Immagine tratta dal film HIGHLANDER - L'ULTIMO IMMORTALE

Immagine tratta dal film HIGHLANDER - L'ULTIMO IMMORTALE

Immagine tratta dal film HIGHLANDER - L'ULTIMO IMMORTALE

Immagine tratta dal film HIGHLANDER - L'ULTIMO IMMORTALE
 

Cosa differenzia un cult da un qualsiasi altro film? Domanda apparentemente semplice, che cela però parecchie sfaccettature. Esempio: l'accoglienza per questa ristretta categoria di pellicole può essere tiepida per tutta la permanenza nelle sale cinematografiche, salvo poi esplodere a distanza di tempo, graziandole dall'inglorioso dimenticatoio. Certi di avere a che fare con delle opere non comuni è facile farsi condizionare al momento della valutazione, tuttavia è uno stimolo per cercare di scovarne i lati più interessanti.

Primi minuti di "Highlander - L'ultimo immortale". L'inizio è per così dire rivelatore, svelando i contorni di una storia originale che desta nello spettatore una giusta dose di interesse: il parcheggio sotterraneo di uno stadio, due uomini che ingaggiano una lotta impugnando spadoni medioevali. Ne resterà soltanto uno.
All'apparenza anacronistica, questa scena non è che un assaggio di quello che verrà, la storia di un immortale, un uomo che possiede la fortuna - o la disgrazia - di poter vivere all'infinito. Proprio questo contrasto interiore sarà la struttura portante dell'intera vicenda, un autentico viaggio mistico.

Da qui in poi la storia prosegue per vie parallele: da una parte la Scozia del 1500, che vive nei ricordi del protagonista, cruda nei paesaggi e negli abitanti, territorio ostile per chiunque non sia un impavido guerriero oppure un devoto cristiano. L'altra ambientazione (tempo presente) è una New York fredda, cupa, che nelle intenzioni del regista vuole probabilmente ricreare, nonostante l'evidente progresso intercorso nei secoli, quella sensazione di ostilità e soprattutto estraneità che vive Connor MacLeod di fronte a una società che non lo capirebbe mai, incredula e sgomenta, come sarebbe una volta compresa la sua vera identità.

La scelta del cast è stata un aspetto fondamentale nel tratteggiare i contorni del mito. Nei panni del nostro eroe abbiamo Christopher Lambert, non un fenomeno di espressività ma sicuramente un attore dotato di carisma sufficiente per reggere il peso di un ruolo importante, tra l'altro il suo unico vero successo. Il personaggio più interessante è sicuramente Ramirez, un eccellente Sean Connery, uomo (prima che attore) dotato di un fascino e un'eleganza non comuni. Nonostante la breve permanenza sullo schermo, riesce a donare al film quel tocco magico in più. Sarà lui il riferimento per il protagonista, svelandogli i segreti e le potenzialità del suo potere, senza le quali non riuscirebbe a sconfiggere il male. Ottima a riguardo l'interpretazione di Clancy Brown, terrificante cavaliere oscuro. Sebbene la sua condotta sia decisamente deprecabile in confronto a Connor, entrambi mirano, seguendo un istinto soprannaturale, allo stesso obbiettivo, ovvero rimanere l'ultimo immortale sul pianeta.

Il combattimento finale, spettacolare e d'effetto specialmente nell'enorme magazzino che si affaccia sulla città, è l'ultima dose di adrenalina prima della grande rivelazione. Il premio all'ultimo immortale infatti non è come si potrebbe pensare un'ulteriore iniezione di potere, bensì il dono di una vita normale, la possibilità di invecchiare e passare il resto della vita accanto alle persone che si amano. Inaspettato come epilogo, ma altrettanto significativo; è infatti la conferma dell'originalità dell'opera, che attraverso delle scelte innovative ha saputo colpire il cuore degli appassionati lasciando un indelebile ricordo.

Come non sottolineare poi la qualità della colonna sonora, ben curata da Michael Kamen, ma soprattutto impreziosita dalla presenza dei Queen, leggenda della musica, che per l'occasione ci deliziano con i migliori brani del loro repertorio anni '80, il loro periodo più visionario. La già citata "Princess of the universe", "A kind of magic", e soprattutto "Who wants to live forever" sembrano quasi concepite su misura per "Highlander".

Ottima la fotografia, specialmente nella parentesi americana; le riprese in notturna sono curatissime, conferiscono alla città quell'atmosfera mistica necessaria per estraniarsi da un set forse fin troppo "normale", considerando i vari argomenti trattati. Gli effetti speciali, per quanto limitati tecnicamente dall'anno di produzione, non sfigurano nemmeno oggi, avendo l'indiscutibile pregio di non essere pacchiani.

Due curiosità: la prima riguardante la sceneggiatura, l'autore, Gregory Widen, era alla sua prima opera. Propose lo scritto a diversi produttori cinematografici senza ottenere riscontri positivi, la storia infatti era decisamente fuori dagli schemi per le produzioni dell'epoca, di conseguenza nessuno voleva investirci del denaro. Questo rischio lo corse Peter S. Davis, il produttore, il quale credette nel progetto ed affiancò a Widen altri due sceneggiatori incaricati di collaborare per la revisione definitiva.
Il successo del film fu così travolgente che, come spesso avviene in casi simili, tutti coloro che collaborarono alla realizzazione ebbero la carriera spianata, firmando negli anni a venire diverse produzioni hollywoodiane di livello.

Un altro aspetto singolare riguarda la differenza di montaggio nella versione americana, la quale non prevedeva le scene ambientate durante la seconda guerra mondiale. In questo episodio si faceva la conoscenza di Rachel, segretaria nonché confidente di Connor, il quale l'aveva salvata da una morte certa in pieno fronte e tenuta con sé, unica depositaria del suo segreto. Questa figura femminile, proprio per la sua unicità e vicinanza al protagonista è di fondamentale importanza, una sorta di collegamento vivente tra due mondi contrapposti. Intuito con facilità il legame che intercorreva tra le due persone, immaginate la reazione del pubblico statunitense il quale non riusciva a motivare un così forte legame tra i due! Per la serie misteri irrisolti...

Si può quindi definire "Highlander" un capolavoro frutto di scelte razionali e meditate a fondo? In parte, ma di sicuro va considerata anche la fortuna quale componente essenziale. Come tutti sappiamo, il tentativo di ricreare una ricetta simile ha prodotto solamente dei seguiti parecchio indigesti. A noi non rimane che goderci uno dei film che più hanno influenzato il genere fantascienza nel corso degli anni a venire. Ogni singolo tassello che lo compone costituisce un indelebile ricordo nella mente di chi l'ha amato e continua a farlo.

Incredibilmente cult.

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Recensione a cura di 1819 - aggiornata al 05/09/2011 15.21.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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