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Il film è diviso in due. La prima ora è colma di ingenuità e sfiora l'imbarazzo dello spettatore per l'inverosimiglianza di alcuni momenti. L'ultima mezz'ora è intensa, forte e potente, al punto di riscattare persino la prima metà. Se è vero che nel finale un film si gioca gran parte del suo valore, qui grazie all'efficacia delle sequenze della seconda parte si è in grado di rivalutare a ritroso la pellicola. Il messaggio che il finale vuole veicolare (centrato sull'elementare dicotomia amore/egoismo) è meno banale di quanto sembri: ma sono soprattutto la figura della vecchia "pazza" e l'invenzione poetica (davvero felice) dei due ambienti separati, ma tra i quali è possibile comunicare grazie a quel tubo, a regalare due spunti molto perturbanti a un'opera fin lì anonima. E a visione conclusa, la minaccia non spiegata e invisibile, la silenziosa "ribellione della Natura", pacifica e terribile come una folata di vento, acquista anche un valore. Che risiede proprio nell'assenza di visibilità e di spiegazione. Il soggetto del film è quasi folle nel suo coraggio anti-spettacolare: ma quella che agli occhi dello spettatore può apparire il suo maggior difetto, è un gran punto di forza della pellicola: che in un certo senso vorrebbe portare alle estreme conseguenze l'assunto per cui "ciò che è invisibile fa più paura di ciò che si vede" (anche se – nella prima ora – l'intenzione resta spesso solo sulla carta: anche in assenza di una minaccia visibile, l'uso della "suspence" avrebbe potuto essere più sapiente).
(Sì: il soggetto non può non ricordare "Gli uccelli", ma non vale la pena speculare su questa somiglianza o citazione)