Recensione la colazione dei campioni regia di Alan Rudolph USA 1998
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Recensione la colazione dei campioni (1998)

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locandina del film LA COLAZIONE DEI CAMPIONI

Immagine tratta dal film LA COLAZIONE DEI CAMPIONI

Immagine tratta dal film LA COLAZIONE DEI CAMPIONI

Immagine tratta dal film LA COLAZIONE DEI CAMPIONI

Immagine tratta dal film LA COLAZIONE DEI CAMPIONI
 

Dwayne Hoover, famoso commerciante di automobili, tenta disperatamente il suicidio perché ossessionato dal lavoro e dalla famiglia, ma alla fine riesce a trovare l'aiuto che cercava grazie ad uno scrittore fallito di romanzi fantascientifici, nel quale l'imprenditore si rispecchia.

Fracassone ed esagerato sono i primi due aggettivi che vengono in mente sul film , perché in realtà le idee e le trovate ci sono eccome, ma andrebbero presentate con più garbo e stile.
La colazione dei campioni avrebbe potuto essere uno di quei fatati film alla Gilliam o uno di quelli geniali alla Coen. Invece qui, le immagini, i colori, i suoni, gli attori stessi vengono letteralmente lanciati a briglia sciolta, senza un minimo di criterio. Certo i momenti esilaranti non mancano e si fanno ricordare anche a distanza di tempo, ma tutto questo non basta. Come dimenticare,ad esempio, il grande autoironico Nick Nolte vestito in lingerie femminile, o Bruce Willis con tanto di tupé che, per zittire i suoi interlocutori, stringe tra le mani la loro lingua; o ancora Albert Finney, scrittore fantascientifico fallito (alter ego dello scrittore Vonnegut autore del romanzo da cui è tratto il film), che entra in uno specchio passando in un'altra dimensione dove torna bambino?  Ma al di là di questo, il film non riesce ad andare: il messaggio si perde nei meandri delle miriadi di scritte sovrapposte o di canzoni un po' troppo ripetute o di visioni tra lo psichedelico e il grottesco.

Dwayne Hoover (un quasi onnipresente Bruce Willis che sfiora la macchietta, rimanendo comunque credibile) è il proprietario di una concessionaria automobilistica e ogni qualvolta arriva un periodo di promozioni (in questo caso la settimana hawaiana), cade nella più totale depressione perché oberato dalle numerose pressioni lavorative e familiari. A circondarlo non ci sono di certo delle persone "normali": una moglie completamente assuefatta alla tv e soprattutto agli spot pubblicitari (di cui Dwayne è un importante e famosissimo esponente), un figlio dalle tendenze omosessuali che vive nello scantinato e che indossa giacche scintillanti e ciabatte a forma di coniglietto, con le quali si esibisce anche come cantante di piano bar; il dipendente Harry LaSabre (uno strepitoso Nick Nolte), che ama travestirsi da donna insieme a sua moglie; un'amante segretaria, Francine (Gleen Headly), un po' troppo asfissiante; per finire un fan sfegatato di Dwayne, col nome simile al suo e cioè Wayne Hoobler (Omar Epps), appena uscito di prigione.

Per Dwayne questo è troppo e allora tenta più volte il suicidio, senza riuscirci perchè ogni volta viene interrotto o dalla cameriera, che lo chiama a consumare la cosiddetta "colazione dei campioni", o dalla segretaria, che gli telefona per dirgli quanto lo ama oppure dal suo fan sfegatato, che vuole lavorare con lui a tutti i costi.  Allora Dwayne tenta di andare avanti senza scivolare nel baratro della depressione e della totale pazzia, resistendo alle preoccupanti "assenze" mentali di sua moglie, alle stravaganze di suo figlio, all'inadeguatezza dell'amico e dipendente Harry, alle insistenze di Francine e del suo strambo e a tratti irritante ammiratore. Quando alla tv e alla radio sente la notizia dell'arrivo in città dello scrittore Kilgore Trout (un fantastico Albert Finney), Dwayne comincia a nutrire qualche sogno di speranza. Trout era uno scrittore di romanzi fantascientifici, chiamato in città per presenziare al Festival delle Arti della città. Leggendo uno dei suoi romanzi, Dwayne si è talmente identificato da credere di poter trovare tutte le risposte alle sue domande, ed è così che ,dopo aver parlato a tu per tu con lo scrittore, Dwayne dà libero sfogo alle sue repressioni e riesce a ritrovare se stesso.

"Addio triste lunedì", è il motto di uno spot pubblicitario, come quelli che la moglie di Dwayne, non fa altro che guardare alla tv. E' con questa frase che si apre e che si chiude il film: alla fine viene pronunciata dallo stesso Dwayne, che pare aver capito la vera condizione di sua moglie e di suo figlio.

Numerosi i temi affrontati da questa pellicola, ma non in maniera del tutto adeguata ed approfondita, restano infatti nascosti sotto innumerevoli stramberie registiche e recitative. Si va dalla critica alla televisione e ai mezzi di comunicazione( agenti condizionanti del pubblico a cui si rivolgono), alla famiglia americana apparentemente felice ma internamente sgretolata, passando per la consueta crisi di identità dell'uomo di mezza età. Alla fine, veniamo lasciati da una sorta di pessimismo misto a rassegnazione, con il protagonista che urla tra le lacrime a sua moglie: "Finchè non muori, devi solo vivere!"

Per carità, il risultato non è affatto negativo, ma il tutto poteva essere un po' meno forzatamente grottesco. Interessantissimi e molto divertenti i vari spot pubblicitari di Dwayne Hoover, originale la colonna sonora, interessante la poliedrica fotografia e coraggiose alcune scelte registiche che tagliano le immagini sovrapponendole ad altre. Insomma, molti eccessi potevano essere evitati, ma sicuramente ci troviamo di fronte ad un film simpatico, leggero e di divertente intrattenimento.

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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 11/10/2010 11.21.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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