Recensione johnny guitar regia di Nicholas Ray USA 1953
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Recensione johnny guitar (1953)

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locandina del film JOHNNY GUITAR

Immagine tratta dal film JOHNNY GUITAR

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Immagine tratta dal film JOHNNY GUITAR

Immagine tratta dal film JOHNNY GUITAR
 

C'è stato un tempo in cui il cinema western ha riempito le sale di tutto il mondo, facendoci sognare con le sue storie di avventure e di frontiera, dove la terra è di tutti e di nessuno, dove il tempo scorre via lento ma incessante, la vita è difficile e precaria, la legge la fanno le forche e le pistole, gli uomini sono eroi grintosi e implacabili oppure fuorilegge spietati e crudeli, le donne fedeli compagne o spudorate sgualdrine.

Visto sotto quest'ottica, Johnny Guitar è un western atipico, un western solo per modo di dire.
Del western ha la stuttura e il ritmo ma non la sostanza. Certo gli ambienti, i paesaggi, la luce, gli incastri narrativi, la durezza della vita insita nella natura e nel quotidiano, le allegorie e gli stereotipi sono quelli classici del cinema western; è la sostanza, sono i contenuti e i significati che fanno di "Johnny Guitar" un film dalle tematiche estremamente complesse, ma al tempo stesso un film della tradizione popolare, un film che parla di intolleranza e di libertà, di scelte e di decisioni, di forza e di determinatezza delle donne, di amore incondizionato e di odio implacabile.
E poi, tra le pieghe di tutto questo, ma non molto velata, c'è la denuncia dell'ostracismo, illogico e illiberale, del maccartismo che allora imperava ad Hollywood e del puritanesimo repressivo della società americana.

Tutto questo, e molto altro ancora, elaborato dalla sapiente mano di Nicholas Ray (il grandissimo cineasta che Jean-Luc Godard definì la "personificazione del cinema": "C'è stato il teatro, Griffith; la poesia, Murnau; la pittura, Rossellini; la danza, Einstein; la musica, Renoir; adesso c'è il cinema, e il cinema è Nicholas Ray"), che con questo film, con un accenno neanche molto velato di autobiografia, volle rendere omaggio a Joan Crawford, la donna a cui era stato legato anni prima e per la quale continuava a bruciare d'amore, e contribuì a fare di Sterling Hayden un'icona del cinema, cucendogli addosso un ruolo ed un personaggio che lo caratterizzarono per tutta la vita.

La storia, ossessiva e tragica, è quella di due perdenti, Vienna e Johnny Guitar, che, grazie alla loro tenacia riescono a sconfiggere le istituzioni.
Vienna gestisce il saloon (che si è procurata con mezzi non propriamente leciti, come lei stessa lascia intuire) di un piccolo e polveroso paese di una terra senza tempo e senza legge.
Osteggiata per la sua spregiudicatezza, Vienna ha suscitato l'odio di Emma, la terribile leader della comunità locale, gelosa della sua bellezza e dell'amore che Ballerino Kid nutre nei suoi confronti.
Istigati da Emma e spalleggiati da un inetto sceriffo che ubbidisce ai suoi ordini, gli abitanti, senza alcun valido motivo, vorrebbero cacciare via Vienna dal paese. Ma inaspettatamente un giorno compare Johnny Logan, detto Johnny Guitar, un cupo pistolero che un tempo aveva avuto una relazione con Vienna.
Deciso a chiudere con il passato, Logan ha abbandonato la pistola e si adatta a suonare la chitarra nel locale di Vienna, sperando di far riesplodere l'antica passione, che in lui, in realtà, non si era mai del tutto spenta (chiarissima l'allusione al vecchio e irrisolto legame tra il regista e l'attrice).

Con un odioso espediente, però, un giorno Vienna viene accusata di aver preso parte ad una rapina e, in un processo senza regole nè legge, viene ingiustamente condannata all'impiccagione.
Determinato ad aiutare la donna che non ha mai smesso di amare, Johnny Guitar riprende allora la sua pistola, riuscendo, all'ultimo momento, a salvarla dai violenti persecutori.
Dopo aver affrontato la perfida Emma in un ultimo, decisivo duello, Vienna e Johnny Guitar insieme, finalmente liberi, possono lasciare il paese.

Queste, per sommi capi, le vicende del film, ma ciò che sorprende veramente è la complessa psicologia dei singoli protagonisti.
Ci sono i buoni, i cattivi e poi le donne.
I cattivi sono naturalmente portati al male, sono malvagi, minacciano, perseguitano, sono dediti alla delazione e alla menzogna, prevaricano e, soprattutto, tradiscono; tradiscono l'amicizia, il rispetto, la solidarietà, l'amore.
Poi ci sono i buoni, come Johnny Guitar, pistolero impegnato a riscattare un passato difficile, quasi inermi di fronte all'ostracismo di una società ostile e prevaricatrice, come se fosse il prezzo da pagare per poter cancellare le colpe del passato.
E infine ci sono loro, le donne, forti, determinate, spregiudicate, mascoline; Emma, perfida, terribile, vendicativa, gelosa, smaniosamente succube della sete di potere; Vienna, anche lei con un passato non propriamente adamantino da riscattare, che subisce con fermezza e coraggio, le spietate e continue angherie degli abitanti e le prepotenze di forze oscure, che detengono il potere e si sono arrogati il diritto di giudicare e decidere il destino altrui (chiara, violenta parodia della caccia alle streghe comuniste del sen. McCarty, come giustamente ricorda lo sceneggiatore Philip Yordan).

Oltre che nel lirismo profondo che lo pervade da cima a fondo, facendone un'opera colta e moderna, la forza del film risiede nella capacità di riuscire a traslare una classica storia western, intrisa di dissidi, lotte e duelli, in un torbido e cupo dramma romantico-sentimentale dalle tinte noir, fatto di persecuzioni e ingiustizie, finalizzati alla prevaricazione e alla supremazia ad ogni costo.

Straordinari gli interpreti, su tutti una fiammeggiante Vienna di Joan Crawford, in una delle più straordinarie figure di donne, come poche volte il grande cinema, ed in particolare il cinema western, ci ha dato vedere.
Incredibile come ella sappia trasmettere, con la sola forza di un semplice sguardo, tutte le sfumature dei sentimenti che la agitano, le sensazioni che prova, la forza della caparbietà che la motiva.
Una vera eroina entrata nella memoria collettiva, una donna fiera, moderna che, nel bene e nel male, si è fatta da sè, che difende con determinazione la propria autonomia e la libertà delle proprie scelte, che non può accettare di subire le violente prervaricazioni che i sorditi persecutori le impongono con la violenza illogica e irragionevole.

Stupefacente anche il sorprendente Sterlin Hayden, in uno di quei ruoli che da soli valgono una carriera, irripetibile nell'aver saputo nobilitare la sua staticità recitativa, facendo di Johnny Guitar un pistolero assolutamente anticonvenzionale, stanco e disilluso, che ritrova tutta la forza della sua determinazione quando si vede costretto a difendere la donna amata. Un vero mito entrato nella storia del cinema western.

Da ricordare anche la Emma di Mercedes McCambridge, piccola, minuta, spietata, che racchiude in sè tutto il meglio (o tutto il peggio) delle classiche donne di potere (quando il potere era appannaggio esclusivo dell'universo maschile), una donna dura, intollerante, gelosa del carisma di Vienna e del suo successo, una performance realistica che ha risentito, forse, dell'autentica rivalità sorta tra le due attrici durante la lavorazione del film.

Accanto ai tre protagonisti, tutta una galleria di comprimari da antologia, a comincire da un grande Ernest Borgnine nel ruolo sdolcinato ma di grande effetto di Bart Lonergan, compagno di avventure di Ballerino Kid, il simpatico spaccone interpretato da Scott Brady; per proseguire con il personaggio dello sceriffo John McIvers, un debole uomo di potere soggiocato dalla personalità di Emma.

Film eccessivo e barocchieggiante, Johnny Guitar è un western atipico, che esalta l'amore tra due vinti e contemporaneamente espone tutta una serie di tematiche che lo fanno assomigliare ad una classica tragedia greca, dove si confrontano l'amore più profondo e l'odio più crudele, i buoni e i cattivi, la giustizia e l'ingiustizia, la colpa e l'espiazione, gli eventi e il destino.

Fondamentale, per la caratterizzazione cromatica del film, è stato l'uso sapiente del colore che ne fa Nicholas Ray, grazie anche al contributo del direttore della fotografia, Harry Stradling, come sempre piuttosto restio nell'usare i mezzi tecnici che gli consentiva la macchina da presa e il sistema all'ora in uso (il Trucolor), peraltro piuttosto deficitari nel rendere le sfumature del blu.
Limite che Ray ha aggirato con un uso enfatizzato dei contrasti cromatici, tutti carichi di significati simbolici ben precisi.
Celebre, a questo proposito, lo sfavillante abito bianco di Vienna, vista come vittima sacrificale, in contrapposizione al nero dei vestiti dei suoi persecutori, o al nero della notte, rotto dai bagliori vermigli dell'incendio, entro cui si staglia la figura bianca di Vienna, nella scena dell'incendio del saloon.
E ancora i verdi intensi dei prati, gli ocra carichi delle pareti della caverna-rifugio di Vienna, il celeste adamantino delle acque, il rosso acceso delle fiamme.

Famosissima la canzone omonima che suona la chitarra di Johnny Guitar, composta da Victor Young e portata al successo, in versione originale, da Peggy Lee.

Semplicemente straordinario, probabilmente ineguagliato e ineguagliabile, moderno a dispetto degli anni, "Johnny Guitar" è uno di quei grandi film che hanno la strardinaria capacità di trasportarci letteralmente in mondi fantastici, mettendoci in contatto con altri luoghi e altra gente, facendoci rivivere le stesse emozioni e le stesse sensazioni e accumunandoci nella coscienza e nei sentimenti.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 08/10/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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