Recensione flightplan - mistero in volo regia di Robert Schwentke USA 2005
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Recensione flightplan - mistero in volo (2005)

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locandina del film FLIGHTPLAN - MISTERO IN VOLO

Immagine tratta dal film FLIGHTPLAN - MISTERO IN VOLO

Immagine tratta dal film FLIGHTPLAN - MISTERO IN VOLO

Immagine tratta dal film FLIGHTPLAN - MISTERO IN VOLO

Immagine tratta dal film FLIGHTPLAN - MISTERO IN VOLO

Immagine tratta dal film FLIGHTPLAN - MISTERO IN VOLO
 

Kyle Pratt, ingegnere aeronautico, prende un volo con la sua bambina di sei anni per tornare a casa dopo aver perso il marito, caduto dal tetto della loro abitazione. Durante il volo la bambina scompare, ma non è presente sulla lista dei passeggeri e nessuno l'ha vista. Tutti pensano dunque che sia un'invenzione della donna scioccata dalla perdita del marito, ma lei non si arrende e fa di tutto per ritrovare su figlia.

Se non sei de Palma è difficile che tu possa riuscire a citare e omaggiare il genio di Hitchcock senza cadere in qualche errore o senza fallire inesorabilmente. Schwentke non riesce a creare un prodotto soddisfacente o perlomeno sufficiente, impigliandosi in meccanismi fin troppo semplificati e poco approfonditi, e lasciandosi andare ad un manierismo fine a se stesso, il cui risultato è straniare lo spettatore per la completa inadeguatezza di alcune soluzioni registiche (alcuni ralenti davvero insopportabili, ad esempio) e per l'incompiutezza di alcuni passaggi narrativi, colpa sicuramente di una sceneggiatura non proprio di ferro.

Se l'idea di fondo, seppur non originale, può sembrare interessante (la scomparsa di una persona in un luogo chiuso come un aereo in volo), è la messa in scena della stessa e la risoluzione fin troppo palese e scontata a rovinarne l'effetto. Il dubbio che si insinua nello spettatore e in alcuni personaggi della pellicola poteva essere affrontato in maniera più efficace e meno frettolosa, visto che era perlomeno plausibile.
Può darsi che una donna a causa della morte di marito e figlia possa "sognare" di essere ancora con loro (in questo caso solo con la figlia) per soffrire di meno e per dimenticare la perdita? Il quesito è interessante, il modo di affrontarlo un po' meno. Perché lo spettatore si rende conto in maniera subitanea che non è affatto questa la soluzione del mistero che accompagna la scomparsa o l'apparente scomparsa della piccola bambina.

Man mano che si procede con la narrazione, si intuisce subito che c'è qualcosa che non va in alcuni passeggeri di questo aereo e soprattutto si comprende immediatamente che la forte e coraggiosa protagonista non è affatto turbata psicologicamente al punto di arrivare ad immaginarsi una figlia che non c'è più. Eliminata l'ambiguità sulla sanità mentale della protagonista, allo spettatore non rimane altro che accontentarsi di assistere ad una serie di sequenze poco interessanti e scarsamente adrenaliniche (la ricerca della figlia da parte della madre ha di buono solo la scenografia e l'ambientazione di questo aereo ultramoderno e incredibilmente enorme, costituito di zone che mai avremmo immaginato), che giungono tra l'altro ad un finale più retorico e buonista che mai, che lascia a bocca asciutta in quanto a colpi di scena o a sorprese di alcun genere.

Nonostante l'ottima interpretazione di Jodie Foster, qui impegnata nel ruolo di "eroina" sola contro tutti, il film non riesce a distinguersi per nessun particolare interessante e, volendo offrire anche una riflessione sul mondo americano post 11 settembre, rischia di cadere in trappole di infondatezze e incongruenze narrative. Che fine fa il sospetto della donna verso due uomini iracheni a suo avviso presenti il giorno prima fuori dalla finestra di sua figlia? Sospetti che finiscono nel nulla alla luce della reale risoluzione del mistero, ma che proprio per questo non trovano una spiegazione plausibile se non appunto la paura verso coloro che hanno causato il disastro più doloroso per gli Stati Uniti; se non fosse però che la protagonista portatrice di questo sospetto tutto è fuorché il genere di persona che si lascia andare a simili "razzismi".
Molto superficiale e a tratti addirittura macchiettistica la descrizione di alcuni passeggeri dell'aereo (primo su tutti l'uomo che si pone dalla parte della protagonista, seguito dalla psicologa interpretata da Greta Scacchi), ad esclusione del capitano che riesce a comunicare una certa ambiguità di atteggiamenti anche grazie all'ottima interpretazione di Sean Bean.
Meno riuscito il personaggio interpretato da Peter Sargsaard, il responsabile della sicurezza dell'aereo, forse anche per la perenne monoespressività dello stesso e per una certa prevedibilità della sceneggiatura che sin da subito ci fa quasi intuire quali siano i reali ruoli di alcuni personaggi che compaiono sullo schermo. Dalla sua parte il regista ha il fatto di essere riuscito a giostrare senza scivoloni la difficile unità di tempo e di azione, senza però riuscire anche a creare la giusta suspance e il giusto carico di ragionevoli dubbi nello spettatore.

Tutto si risolve nella più semplicistica e facilmente intuibile delle maniere. Un peccato non aver sfruttato al meglio un'idea di base che poteva dare spazio a soluzioni estetiche e narrative molto interessanti oltre che a riflessioni più profonde e calzanti, come ad esempio il crearsi di una sorta di comunità tra persone che si ritrovano costrette nello stesso luogo e che devono affrontare un'avventura non usuale. Un peccato non essere riusciti a rendere il giusto omaggio al maestro Hitchcock.

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Recensione a cura di A. Cavisi - aggiornata al 18/05/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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