Un percorso misterioso, dove la realtà si confonde con il mistero, il sogno, l’amore, la morte... Una macchina procede lentamente nella famosa Mulholland Drive con a bordo una bruna fatale. La donna non è sola, qualcuno le sta puntando addosso una pistola. Ma il destino è più veloce, dalla direzione opposta, spunta un bolide che travolge la vettura.
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la spiegazione l'hanno già data in tanti, e più che mai in questo film appare ben delineata nonostante tutti i giochetti di scatole cinesi care al regista. Abbandonando la chiave sogno / realtà questo film mi ha sempre suggestionato per altre cose tutto sommato, Lynch proveniva dal capolavoro supremo strade perdute e da un film più normale (quasi un rito di purificazione) come straight story, qui si ritorna in acque agitate e mai come altrove sono presenti tutte in una volta le ossessioni del regista: le inquadratura dell'asfalto illuminato a tratti dalle luci dell'auto, le carrellate sui muri vuoti, gli interni un po' kitsch e retrò, le citazioni al cinema hollywoodiano classico (uno su tutti: i microfoni a cerchio tipici dei Fifties). E qui emerge un'altra ossessione tipica: il confronto con quel tipo di cinema è in realtà per Lynch l'acquisizione dell'impossibilità di ritornarvi. Il mondo e il cinema odierno hanno perso quell'innocenza e quella zuccherosità. L'America stessa ha perso la sua innocenza e così anche il cinema. Il cinema non viaggia più su una strada lineare, ma su una lost highway. Ed ecco quindi che l'intreccio classico si spezza in mille trovate e situazioni al limite dell'inconscio. Alla fine la storia sembra esplodere in un incubo tanto caro al cinema lynchiano, con apparenze e fantasmi della mente, con sequenze oniriche freudiana fino al raccapriccio sadomaso e saffico.