Il film racconta la straordinaria ed edificante storia di una delle più grandi menti viventi del mondo, il rinomato astrofisico Stephen Hawking, e di due persone che contro ogni probabilità hanno sfidato gli ostacoli più imponenti con il loro amore.
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Sono molto convinto che set e setting siano decisivi nella valutazione di un film e devo ammettere che La teoria del tutto mi ha emozionato, tuttavia a un'analisi più oggettiva non andrò oltre il 7. Per uno strano e tristemente ironico destino, la mente più brillante dei nostri tempi è stata rinchiusa in un corpo atrofico e incapace di gestire le più comuni azioni quotidiane, quasi che il regista dell'universo volesse rendere ancora più arduo il disvelamento dei suoi segreti. Viene spontaneo a questo punto pensare che il cervello umano, quando sia in grado di penetrare i concetti più oscuri del mondo, di riflesso perda l'efficienza, quando non la totale capacità, di controllare il pesante fardello che gli è stato affibbiato. Il film, più che sulla matematica di Hawking che ci sarebbe completamente incomprensibile, si concentra sul sovrumano sforzo fatto per non perdere la sua mente e lasciare le sue riflessioni nell'oblio, ma soprattutto sul decisivo ruolo di Jane Wilde, senza la quale probabilmente niente sarebbe stato possibile. Una prima parte molto convenzionale e piatta, acquista interesse con l'insorgere della malattia, ma il film si nutre appieno della storia e gli basta adagiarsi, anche con un pò di furbizia, su di essa e sulla grande interpretazione di Redmayne per risultare una visione piacevole. Una storia sulla fisica, ma ancora una volta sono gli affetti umani a muovere i fili, a meritare la nostra attenzione, compassione e comprensione e a rappresentare la grande incognita, il mistero finale.