Un cavaliere torna dal campo di battaglia solo e trova ad attenderlo una terra devastata dalla peste, e la Morte che lo reclama. Riuscirā a prolungare la propria esistenza impegnando la Mietitrice in una lunga partita a scacchi che sa di non poter vincere.
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Film esistenzialista se ce ne fosse uno. Bergman scava in tutti i dubbi che l'uomo ha nei confronti della vita dopo la morte in un saggio di 90 minuti. Confermo il rapporto stravagante che mi ritrovo ad avere con il regista svedese, uno stile quasi respingente nei miei confronti. Una allegoria, una vicenda sospesa nel tempo, seppur trovi un'ambientazione nel Medioevo e nell'ondata della peste. Scenario apocalittico che viviamo tutt'oggi con il Covid, seppur denso delle superstizioni e dell'ignoranza dell'epoca. Tante allegorie (la famiglia sacra, l'apocalisse ecc) per un film che punta proprio sulla curiosità di tutti. La religione è un enorme tema, c'è chi si affida del tutto ad essa, chi la interroga, chi la trascura del tutto, chi ne fa un uso spropositato e mirato ai fini terreni. Bergman si avvale di immagini che non hanno tempo e hanno scavallato qualsiasi epoca per arrivare al giorno d'oggi ancora impresse nella cultura. Per il regista il senso della vita è tutto nella famiglia di saltinbanchi: piccole tenerezze, piccole cose che rendono felice una vita destinata ad essere misera e a finire in modo triste.