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Un film più unico che raro nel suo concept, che assume toni epici ben oltre il genere gangster. Vista l'imponenza del progetto, la cosa che più lascia perplessi è il mancato accordo tra Sergio Leone e la produzione circa il montaggio definitivo. Ormai si è capito che il regista non ebbe l'ultima parola sul director's cut per l'uscita nelle sale americane (cosa in generale assurda), però sembra che anche lui non avesse le idee chiarissime sull'impianto definitivo, visto che ha cambiato più volte idea circa il minutaggio, per poi arrivare alla versione definitiva di 220 minuti distribuita in Europa. In ogni caso è incredibile come sia stato possibile, non tanto operare dei tagli contro la volontà del regista, ma addirittura stravolgere completamente il film. Poi è stata la volta dei figli, che in occasione del restauro della pellicola hanno di nuovo allungato i tempi di venti minuti (scelta molto discutibile vista la pessima qualità delle immagini neanche doppiate in italiano). Insomma, un problema di incastro c'è e c'è sempre stato e purtroppo lo si riscontra anche nella versione estesa del film.
Sul piano tecnico il risultato è mostruoso. L'invecchiamento dei personaggi è semplicemente straordinario e qui si capisce quanta importanza possa avere un simile effetto sullo spettatore (cosa che ad esempio manca in un altro cult come "Le ali della libertà"). Cavalli di razza come Leone, Delli Colli e Morricone hanno sublimato il cinema come esperienza estetica, anche se questo non elimina il problema di fondo al quale accennavo, anzi paradossalmente lo evidenzia. Non ha tutti i torti il Mereghetti quando allude a una carenza insita nella natura dei personaggi. Adesso non è il caso di condividere la stessa severità di giudizio, ma che sia un problema di incoerenza o di approfondimento psicologico, sta di fatto che la percezione che lo spettatore rischia di avere è quella di un mondo surreale, animato da personaggi immateriali a dir poco bizzarri. Nulla di grave, per carità. Il fatto è che la struttura da romanzo di formazione e le premesse così profondamente radicate in un contesto reale, fanno presagire ben altra pasta da mettere sotto i denti e da qui nasce lo spiazzamento e la perplessità. Il vero capolavoro, infatti, (se proprio di capolavoro si vuole parlare) è tutta la prima parte dedicata all'infanzia, dove a fronte di giovani attori inesperti (bravissimi, ma pur sempre alle prime… armi), c'è una densità emotiva e una credibilità del narrato che avvolge e appassiona in modo viscerale. Verso il finale, accade il contrario: i big strabiliano con le loro interpretazioni eccelse, ma la tenuta della narrazione sembra meno solida (vedi la scena dello stupro, così fuori contesto da essere fallimentare, oppure l'incontro tra Noodles e il senatore Bailey, del tutto surreale). Ecco quindi che si aprono discussioni, analisi, teorie, forse è tutto un sogno, forse no, chissà. God bless America.
Riguardo alla cosiddetta "teoria del sogno", fa pensare il fatto che quando l'ormai anziano Noodles torna a New York, si muove come fosse un ologramma, senza entrare in contatto con nessuno. Nemmeno col suo amico Fat Moe, che rivede dopo più di trent'anni, ma che non sfiora neppure di striscio.