Nel 1927, a Hollywood arriva il sonoro, e le star del cinema muto devono adeguarsi o smetteranno di recitare. Don Lockwood, grazie alle sue doti di ballerino e cantante non ha problemi, ma la primadonna Lina Lamont, ha una voce sgraziata e deve perciò farsi doppiare.
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Si cali il sipario per quest'indimenticabile e leggendario film, che chiude in maniera più che degna la cosiddetta trilogia "musichevole".Questa pellicola sta, così come West Side Story ( quantunque quest'ultima sia indubbiamente di altra ed elevata caratura), per quello che dovrebbe essere il reale modello ed "exemplum" quasi "peplistico" dell'opera cinematografica musicale: una compendiaria miscellanea antologica detraibile dagli spunti artistici e letterario-cine-iconografici dei decenni preedenti ( in questo caso, naturalmente, i fastosi anni '20).Dando un'analisi approfondita del film, si potrà comprendere come sia quasi una sorta di inno dedicato a se stesso, dal momento che precede e, al contempo, prosegue e perfeziona il grandissimo "labor limae" approntato da collaboratori, registi e produttori ( molto carino il riferimento alla Metro-Goldwyn Mayer) e, per arricchire ed abbellire ancor più l'imponente macchina ideocinematografica, si serve di studi, per così dire, sulla tecnica del cinema stessa, riscoprendosi, alimentandosi ed evolvendo sempre più incresciosamente l'incredibile potenza del linguaggio dialogico e visivo-musicale.L'ultima scena è il termine "fine" del processo revisionario.Colossale.