Ambientato durante la seconda guerra mondiale, la storia riguarda un gruppo di soldati ebrei prossimi all'esecuzione comandati dal tenente Aldo Raine (Brad Pitt), quando ottengono invece una chance per salvarsi: riportare con sč cento scalpi nazisti. Il gruppo sarŕ impegnato anche nell’operazione Kino, durante la quale dovranno attaccare il nemico mentre viene presentato, a Parigi, un film di propaganda, alla presenza di Joseph Goebbels, uno dei principali gerarchi nazisti.
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I bastardi senza gloria sono poco meno di quella sporca dozzina di Aldrich, a cui questo film rimanda, assoldata per combattere col crimine il crimine nazista. Il gruppetto assortito messo su da Tarantino e gestito e guidato nel film da Aldo/Pitt deve commettere crimini non meno orrendi di quelli perpetrati dai nazisti proprio ai loro danni, al solo scopo di vendetta e terrorismo. Tarantino, però, non rinuncia ad affidare anche questa volta a una donna la mano vendicatrice. Ma con un'efficacia narrativa meno evidente rispetto a Kill Bill. La riscrittura della Storia da parte di Tarantino va a tutto vantaggio della creazione cinematografica che, attraverso le consuete e innumerevoli citazioni (il generale inglese che si chiama Ed Fenech è una delle trovate più divertenti) dal cinema d'autore e da pellicole di genere, diventa thriller d'azione/spionaggio come nella migliore tradizione hollywoodiana. Forse è proprio la figura vendicatrice femminile il punto più debole del film: a meno di non voler idealmente includere anche Shosanna (una sorta di protopartigiana in nuce) nei bastardi senza gloria, come di fatto è, la sua figura sembra meno intensa e strutturata non solo rispetto alle precedenti eroine tarantiniane, ma anche rispetto a quella ingombrante di Aldo/Pitt, il capo dei bastardi.
Lungi dal volersi cimentare realmente con la Storia, quella vera, documentata, Tarantino sdogana di fatto - e penso involontariamente - un argomento storico particolarmente controverso soprattutto negli ultimi anni e feroce punto d'appiglio di un certo revisionismo bacchettone e intellettualmente disonesto: la vendetta e, in particolar modo, la violenza dei "giusti". Quello dell'esercizio della violenza è uno dei noccioli della questione storiografica inerente alla Resistenza e alla Seconda Guerra Mondiale. Lo scarto morale tra le forze della reazione (fascisti, nazisti, ecc.) e quelle "progressiste" (eserciti alleati, partigiani, ebrei) nell'uso della violenza risiede proprio nella legittimità storica di tale esercizio e ne segna le differenze etiche. Se la violenza è alla base (ideologica, oltre che pratica) del nazifascismo, per tutti gli altri non può che essere strumento di difesa e contrattacco, non organizzata in modo ideologico come per i nazifascisti (strumento di dominio, annientamento e oppressione), ma essenzialmente per finalità ideali (strumento per raggiungere la libertà). Su questo punto si è incentrata l'analisi scandalizzata e scandalistica di taluni storici (o pseudotali, tipo Pansa, per intenderci) poco inclini agli elogi alla Resistenza e alle forze alleate, per le quali l'esercizio della violenza, in alcuni casi ritenuta eccessiva e sconsiderata, da parte loro non farebbe altro che confermare una sostanziale equità (im)morale tra nazifascisti e antinazisti, al di là del contesto e delle motivazioni storiche che hanno portato all'esercizio della violenza negli uni e negli altri. Inglourious basterds, in effetti, pone questo problema sotto traccia: come dobbiamo valutare la violenza e la vendetta ebraica "tarantiniana", nel film pressoché fine a se stessa, contro i tedeschi durante la II G.M.? Alcuni esponenti delle comunità ebraiche non hanno affatto gradito questo film che presenta un manipolo di ebrei pronto a qualsiasi efferatezza pur di vendicarsi dei nazisti, senza peraltro avere a riferimento nessun'altra strategia bellica e politica, almeno nella prima parte, se non quella di terrorizzare il nemico: se la violenza crudele e fine a se stessa pertiene moralmente alla sfera culturale dei nazifascisti, mostrare il ribaltamento di tale situazione, ovvero dei soldati ebrei dediti al compimento di trucide perversioni, oltre che esercizio di revisionismo storico, rischia di far passare un’immagine inconsueta e pericolosamente distorta degli ebrei, ai quali va preservata la memoria di vittime assolute dell’abominio nazista. In realtà la buona fede di Tarantino, lontanissimo da imprudenti intenti storici, non pare essere mai in discussione e, semmai, ha il merito di aver considerato assolutamente legittima (fatto salvo che si sia mai posto questo problema) la vendetta e la violenza della “parte lesa” come ineluttabili, giustificati e necessari strumenti di una guerra totale e senza remore. E ad Aldo/Pitt non resta che consegnarci il suo capolavoro finale come supremo suggello di damnatio memoriae per il nazismo. Sperando di non doverci aspettare un libro del Giampaolo Pansa di turno, “Lo scalpo dei vinti”… In conclusione, è curioso come Tarantino, al culmine della sua filmografia metacinematografica affidi al Cinema, inteso nel suo senso più ampio di arte visiva, di luogo della visione e della materia propria del film, cioè la pellicola, il ruolo di esecutore della vendetta: “La cinematografia è l’arma più forte”.