Justine e Michael stanno per sposarsi, il ricevimento si terrà nella casa della sorella di Justine, ma proprio in quei giorni un evento catastrofico minaccia la terra ed i suoi abitanti...
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Von trier sta male - come afferma pompiere nel magnifico commento che precede il mio. E' senz'altro vero che questo "Melancholia" sia un film pregevolissimo sotto il profilo visivo, e dotato di una forza espressiva non comune, molte delle cui immagini sono sicuramente destinate a restare impresse per anni. Condivido poi anche quanto afferma ancora più sotto Bulldog, che se per nichilismo sarei portato a stroncare il film, ammetto che anche in questa pellicola di un regista che ho sempre apprezzato molto si avvertono come dei disvelamenti, come il "balneare di certezze più elevate fra caos estremi, la percezione quasi magica di una realtà delle cose esistenti nella loro essenza e purità". Non per nichilismo è un film sbagliato. E' un film supponente che, lo si avverte con estremo vigore, appare squilibratissimo nel suo essere scritto e realizzato non semplicemente con la (per Von Trier, tradizionale) irriverenza nei confronti dello spettatore e della donna, ma stavolta con un carico aggiuntivo di stanchezza astiosa nei confronti dell'umano consesso. Un astio, stanco, che ha superato la disillusione e la lucidità, e si è arreso alla depressione e al furor vendicativo.
La messa in scena dell'apocalisse non è priva di un indigeribile cattivo gusto nel trattare i caratteri umani come ridicoli insetti da commiserare. E non c'è vera arte in ciò; l'atteggiamento di Von Trier si avvale di un talento in passato fulgente, ma ora ridotto a routinaria tracotanza. Il regista danese vuole incantare, e ha successo (visto l'entusiasmo che leggo) nel blandire in modo impudico tutte le maggiori ansie e complessi anti-borghesi di noi tutti. Ma se mi sono riconosciuto, sì, anche io, nelle frecciate che la prima parte del film rivolge al consesso sociale medio, quello borghese, cogliendo (facilmente) nel segno grazie al fatto di avvalersi dell'esasperazione della falsità, dell'ipocrisia, del "politically correct" e dei "buoni sentimenti di facciata", propri di una cerimonia nuziale, è la seconda, infinita parte dedicata all'Attesa, a sfibrare con una narrazione povera, poverissima, tutta rivolta a rendere lo spettatore partecipe dell'attesa (alla Ionesco, alla Beckett), ma completamente priva di vigore narrativo altro che non la messa in scena didascalica dei tre possibili modi di Attendere una catastrofe: l'ansia disperante (Claire), l'indifferenza depressa (Justine) o l'ipocrisia mediocre e suicida (il marito di Claire). Capita quest'ipostazione in pochi minuti, la restante ora di proiezione rappresenta un'intenzionale tortura dello spettatore, colma di arroganza.
Ho stavolta provato per Von Trier, che ho sempre ammirato molto (e condisceso nelle prove meno riuscite), una sorta di commiserazione.
Per me questo suo film non è affatto incondivisibile nelle suggestioni che vuole lasciare; è però profondamente ingenuo, infantile, quasi capriccioso. E inscusabile, di conseguenza, per quanto vuole essere intollerabile.