quo vadis regia di Mervyn LeRoy USA 1951
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quo vadis (1951)

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locandina del film QUO VADIS

Titolo Originale: QUO VADIS?

RegiaMervyn LeRoy

InterpretiRobert Taylor, Deborah Kerr, Leo Genn, Peter Ustinov, Patricia Laffan, Finlay Currie, Abraham Sofaer, Marina Berti, Buddy Baer, Felix Aylmer, Nora Swinburne, Ralph Truman, Norman Wooland, Rosalie Crutchley, Elspeth March, Sophia Loren, Elizabeth Taylor, Bud Spencer, Walter Pidgeon, John Myhers, Alfredo Rizzo, Leslie Bradley, Adrienne Corri, Enzo Fiermonte, Robin Hughes, Liana Del Balzo, Peter Miles, Geoffrey Dunn, Nicholas Hannen, D.A. Clarke-Smith, John Ruddock, Strelsa Brown, Alfredo Varelli

Durata: h 2.51
NazionalitàUSA 1951
Generestorico
Al cinema nel Settembre 1951

•  Altri film di Mervyn LeRoy

Trama del film Quo vadis

Marco Vinicio ritorna a Roma dalla Gallia, con le legioni che ha condotto alla vittoria. In casa di un console romano, conosce Licia, fanciulla straniera, tenuta lì in ostaggio, e se ne innamora. Egli ottiene dall'imperatore Nerone che la fanciulla venga affidata a lui; ma mentre viene condotta alla sua casa, Licia, che è cristiana, viene rapita dai cristiani, capitanati da Ursus.

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Voto Visitatori:   7,44 / 10 (26 voti)7,44Grafico
Miglior attore non protagonista (Peter Ustinov)Miglior fotografia a colori (Robert Surtees, William V. Skall)
VINCITORE DI 2 PREMI GOLDEN GLOBE:
Miglior attore non protagonista (Peter Ustinov), Miglior fotografia a colori (Robert Surtees, William V. Skall)
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Voti e commenti su Quo vadis, 26 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Dom Cobb  @  02/09/2018 19:44:42
   7½ / 10
Roma, 64 d.C. Il comandante romano Marco Vinicio, di ritorno da una vittoriosa campagna militare, incontra la giovane schiava cristiana Licia e se ne innamora: finirà ben presto per difendere lei e la sua gente dalle crescenti atrocità perpetrate dal lunatico imperatore Nerone...
Se il "Sansone e Dalila" di DeMille aveva già dato un assaggio di ciò che stava per accadere, "Quo Vadis" rappresenta il momento di vero e proprio ritorno in grande stile del genere epico/storico al cinema, che nei decenni precedenti era sparito dalla circolazione a favore di prodotti più facili economicamente e tecnicamente; non solo, i grandi incassi al botteghino pare abbiano perfino salvato la Metro-Goldwyn-Mayer dalla bancarotta in cui minacciava di sprofondare (non sarà l'ultima volta che un fatto simile si verificherà). C'è da dire che la fama che il film si porta dietro al giorno d'oggi, tuttavia, non ha tanto a che fare con le otto nomination agli Oscar, il successo di pubblico e di critica dell'epoca o perfino le sue qualità intrinseche, quanto le esagerazioni a livello drammatico, il cast di stelle e l'associazione immediata con il periodo pasquale; più che naturale, vista la presenza corposa del tema cristiano.
Riguardandolo ora, è facile vedere come il film di LeRoy, regista di basso profilo e qui in grande spolvero, abbia in qualche modo stabilizzato gli aspetti narrativi e soprattutto estetici di un genere che, fra (pochi) alti e (tanti) bassi, continua ancora oggi ad attirare un pubblico generalista: basti pensare alle sbalorditive scenografie e agli elaborati costumi che, con l'aiuto di efficaci effetti speciali, danno vita a una versione fortemente idealizzata e quasi romantica della Roma antica; o all'enorme numero di comparse che aiutano a dar vita a numerose sequenze dall'innegabile impatto visivo, per di più in un'epoca precedente all'avvento del formato panoramico;


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o all'obbligatoria storia d'amore fra l'eroe della storia e la giovane donna; o alla presenza abbondante di grandi nomi nel cast; o all'abitudine di girare sia interni che esterni in loco su suolo italiano, dando origine alla tradizione della "Hollywood sul Tevere" (con tanto di Sergio Leone a dirigere la seconda unità); o, infine, alla maniera nonchalante con cui ci si prendono licenze poetiche più o meno grandi rispetto alla realtà storica.


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Personalmente, considerando anche che questa è la prima volta che ho visto il film dall'inizio alla fine, senza pause e senza perdermi neanche una scena, mi vedo costretto a dare un giudizio positivo: essendoci cresciuto, ho un certo debole per questo genere di film, ma soprattutto un enorme grado di ammirazione per l'abilità tecnica e l'immenso sforzo messo in evidenza in ogni singolo fotogramma. Tra una fotografia superba e un lato tecnico strepitoso, nonché una spruzzata di ben realizzate scene d'azione, "Quo Vadis" è una costante gioia per gli occhi, il che rende la durata di quasi tre ore molto meno pesante di quanto uno possa pensare.
Ma non è soltanto questa la ragion d'essere del film: sebbene la storia venga sviluppata in maniera semplice e diretta, senza risparmio di momenti melodrammatici e sospirosi, non ci sono mai momenti dove il ritmo ristagna, e la trama si dipana nel complesso con rara fluidità; certo, soffre un po' per l'eccessiva glorificazione della religione cristiana come unica via di salvezza dell'anima da quel mondo corrotto che è Roma ecc., e nonostante il forte lirismo di alcune scene, di temi profondi non ne vengono mai toccati. Ma più che un difetto, ciò risulta essere più un aspetto dell'epoca in cui il film è stato prodotto, una curiosità che gli da un ulteriore livello di fascino, merito anche delle eccellenti musiche di Miklòs Ròsza. Di certo, non ci si annoia mai, perché quando succede poco o nulla, c'è comunque qualcosa di interessante da guardare.
Poi c'è il cast: non si può parlare di un film come "Quo Vadis" e tralasciare l'elemento che, forse, più di tutti gli altri sancisce il successo della pellicola. Se la coppia Taylor-Kerr è nella norma, si fanno ricordare Leo Genn nel ruolo del cinico Petronio, intenso e credibile in qualsiasi momento, e soprattutto lui, la leggenda vivente, il nostro caro imperatore Nerone. Peter Ustinov, i cui sforzi vengono coadiuvati da un doppiaggio italiano decisamente all'altezza, si scatena nella performance, credo, più popolare e famosa di tutta la sua carriera al cinema: un simbolo e apice di tutte le tendenze manieristiche e teatrali che caratterizzano non solo il film in sé, ma quell'epoca del cinema in generale. Ma ciò che la rende così perfetta e brillante è proprio il fatto che essa non consiste solo in smorfie, urla e smanie: ci sono, è vero, ma vengono impiegate con una sottigliezza fuori dal comune, insieme a una carica di astuzia e umorismo, un miscuglio che rende il suo personaggio bizzarramente umano;


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non troppo diverso, in effetti, da altri personaggi venati di tragedia che sono stati protagonisti di altri film di LeRoy nel corso degli anni (il paragone più immediato è con il Rico interpretato da Edward G. Robinson ne "Piccolo Cesare", tanto più che la morte di entrambi avviene in circostante simili e la loro ultima frase prima di morire è quasi identica).
La presenza carismatica di Ustinov, unita ai vari trionfi visivi e tecnici e a un immortale fascino vintage, rende "Quo Vadis" un manifesto programmatico del suo genere, forse non fra i più riusciti, ma in ogni caso di alto livello. Cinema di puro spettacolo ma di gran classe, come oggi non se ne vede più.


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