Justine e Michael stanno per sposarsi, il ricevimento si terrà nella casa della sorella di Justine, ma proprio in quei giorni un evento catastrofico minaccia la terra ed i suoi abitanti...
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Nel reiterare la medesima sfiancante azione, Sisifo celebrava una forte attestazione di vita, la negazione di una fine. Lars von Trier, crogiolando nell'atarassia che segue alla rassegnazione, immagina che il masso cada una volta per tutte, disintegrandosi insieme all' uomo che aveva dilaniato. La malinconia è esattamente questo: una forma di nichilismo mediocre e svilito. La presunzione sta nell'acclamarne la vittoria, nel conferirle una prerogativa di verità. Eppure, attraverso un personaggio scialbo come Justine (noi magari c‘aspettavamo un Oltreuomo ), il regista sembra affermare che il salto accidentale fra l'inconsapevolezza e la coscienza non conferisce nessuna grandezza, nessuna superiorità a chi lo compie. L'egotismo in "Melancholia" si esprime per lo più nell'uso tracotante e fastoso del mezzo artistico. La storia in sé, la fine del mondo come tracollo di speranze penose, più che di compiacimento è intrisa di un' orrenda ironia.