Costretti ad abbandonare il loro appartamento al centro di Teheran a causa di urgenti lavori di ristrutturazione, Emad e Rana traslocano in una nuova abitazione. Un incidente con l'ex inquilina sconvolgerà la vita della giovane coppia.
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Un dramma a tinte fosche, quasi noir, che rappresenta, con il climax emotivo di un tragedia greca, l'implacabile e "funesta ira" che consuma l'animo di un compunto insegnante iraniano di fronte alla violenza subita dalla moglie. Vergogna, orgoglio ferito, giustizia sommaria, vendetta, avvisaglie di un processo irreversibile di abiezione, il coro dei ragazzini che chiede ingenuamente "come un uomo riesca a trasformarsi in mostro". La risposta a questa domanda, vanamente cercata dalla classe, è, in realtà, dentro ognuno di noi: ma la apprendiamo con sgomento solo quando ci si offre il "casus belli", la fatale "tentazione" del male, che ci sospinge verso un dedalo di scelte qualificanti. Il film di Farhadi trafigge, scuote, commuove, in ogni caso muove, ma avrebbe meritato un doppiaggio ed una traduzione meno approssimativa e sgrammaticata, come troppo mi è capitato di rilevare nei riguardi dei film "etnici", soprattutto indiani/iraniani: davvero inaccettabile che uno dei personaggi abbia un vago accento napoleano, che non si riesca ad infilare un congiuntivo o una pallida "consecutio temporum"; quasi derisorio è lasciare la traduzione sbagliata di "maccheroni", quando si sta consumando un chiarissimo piatto di spaghetti! Mi appello ai nostri produttori/distributori, affinchè non si ripetano traduzioni così scadenti e poco accurate, che sembrano quasi volere sottolineare l'arretratezza culturale di certi popoli!