Un gruppo di schiavi provenienti dalla tribù dei Mendi della Sierra Leone raggiunge L'Avana a bordo di una nave portoghese. Nell'isola caraibica vengono comprati dagli spagnoli, quindi imbarcati sulla Amistad diretti a Puerto Principe per iniziare la loro vita di schiavitù. Ma agli schiavi giunge voce che, una volta a destinazione, sarebbero stati uccisi. Ritenendo fondate queste voci capiscono che se vogliono salvarsi devono muoversi in qualche modo e tre giorni dopo aver lasciato il porto...
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Quando Spielberg ha raccontato la storia americana ha sempre fatto uso di paccate di retorica: è fattuale, è così. E "Amistad" non sfugge minimamente a questa evidenza: il film da un lato punta il dito contro i lati oscuri della storia statunitense e dall'altra ne elogia però le capacità di riaffermare quegli stessi valori della tradizione che sono parte della grande narrazione storica americana (il discorso finale di Hopkins/Adams è in tal senso evidentissimo). Se quindi il film può far storcere il naso per il suo essere unilateralmente retorico e moralistico, ciò che secondo me lo rende degno di nota è l'attenzione posta alla ricostruzione storica (e quindi fedeltà storiografica): sono proprio le condizioni vissute dagli schiavi sulle navi che riprendono quello che sappiamo dalle fonti storiche. Il film quindi è anche un quadro realistico di una vicenda che si, simboleggia i grandi temi degli Usa, ma è anche racconto universale di rapporti tra esseri umani.