il processo regia di Orson Welles Italia, Francia, Germania 1962
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il processo (1962)

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locandina del film IL PROCESSO

Titolo Originale: LE PROCÈS

RegiaOrson Welles

InterpretiAnthony Perkins, Jeanne Moreau, Romy Schneider, Orson Welles

Durata: h 1.58
NazionalitàItalia, Francia, Germania 1962
Generedrammatico
Al cinema nell'Agosto 1962

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Trama del film Il processo

Joseph, un anonimo impiegato di banca, viene a sapere che su di lui si sta istruendo un processo. All'inizio pensa a uno scherzo, poi capisce che stanno facendo sul serio. E senza che mai nessuno gli abbia rivelato i capi d'imputazione.

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Voto Visitatori:   8,57 / 10 (38 voti)8,57Grafico
Voto Recensore:   8,50 / 10  8,50
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Voti e commenti su Il processo, 38 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

stratoZ  @  09/04/2024 14:25:19
   10 / 10
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Eccoci, qui per il sottoscritto siamo nell'olimpo del cinema, questo film è uno dei casi in cui metto di lato l'obiettività e divento un fanboy, ma non ci posso fare nulla, per me "The Trial" è uno dei film più belli di sempre, un capolavoro assoluto, nei dieci film che eventualmente porterei in un'isola deserta ci sarebbe sempre, uno di quei casi in cui si sono allineati i pianeti e un romanzo considerato un capolavoro viene trasposto da un regista che di capolavori ne aveva già fatti parecchi e il risultato accresce la qualità artistica donando immagini straordinarie che aggiungono ma allo stesso tempo non stravolgono gli elementi semantici dell'opera, personalmente lo ritengo il miglior film di Welles, vero è che non ha avuto la potenza impattante che ebbe "Citizen Kane" sul cinema, vero che non ha avuto l'influenza che avrà "Touch of Evil" sul noir e i suoi derivati, però le atmosfere meravigliose che si respirano in questo film lo rendono una delle migliori esperienze cinematografiche che abbia mai avuto, Welles ancora una volta scatena tutto il suo genio e crea una rappresentazione semplicemente oltre, una sequenza dietro l'altra, maneggia l'atmosfera e restituisce le sensazioni più opprimenti e paranoiche in un gioco emotivo che viene costantemente contrastato dalla natura grottesca di fondo del soggetto, "The Trial" è un viaggio all'interno dell'assurdo, dei paradossi del sistema giudiziario, della soffocante burocrazia che si riversa sui cittadini, della tensione emotiva che trasmette l'istituzione, dei meri interessi che i piani alti fanno a discapito dei più deboli, ma è anche un viaggio all'interno delle paranoie dell'uomo sempre più soffocato da un sistema che non gli permette di esprimersi liberamente e lo tratta come l'ennesimo elemento di una catena di montaggio, semplicemente geniale.

"To be in chains is sometimes safer than to be free."

E già il soggetto è qualcosa di incredibile: un uomo viene arrestato, non si sa per quale motivo, ma gli ispettori piombano nel bel mezzo della notte a casa sua, lo svegliano e gli comunicano che è stato arrestato, non lo portano via, ma dovrà affrontare un processo. Già questa prima scena mostra tutto il genio del regista che in pochi minuti ci trasporta in questo mondo paranoico, con la privacy del protagonista (e degli altri inquilini) pesantemente violata dalle autorità, tra dialoghi che già sfiorano l'assurdo, con un continuo scarico di responsabilità da parte dei rappresentanti della legge, ma anche ripensamenti, verità che vengono negate pochi minuti dopo, e queste ingombranti figure vestite di nero che accerchiano il protagonista dando già una forte sensazione di schiacciamento, almeno psicologico, facendo capire fin da subito che è in trappola, una volta entrato nel sistema difficilmente ne uscirà, è curioso vedere come in questa sequenza in particolare, ma è un concetto estendibile a tutto il film, il protagonista, in quanto accusato, è portato ad avere terrore di quello che dice, ogni singola parola viene appuntata, ogni minimo dettaglio, gesto, potrebbe essere usato contro di lui durante il processo, restituendo una posizione scomoda in cui l'accusato si sente non poter fare nulla per non compromettere ulteriormente la sua situazione, è sotto mira, deve stare imbalsamato.
E Welles rende costante questa componente dell'imponenza della legge, geniale il comparto scenografico che mostra le sedi del tribunale con elementi architettonici titanici, basti vedere le porte enormi, le statue, il banco dei giudici, tutto gigante, col protagonista che sembra scomparire di fronte ad essi e che possono ricordare la rappresentazione degli elementi sacri nei luoghi di culto, rappresentazione che però entra in contrasto con i luoghi considerati dietro le quinte, quelli della punizione o degli elementi considerati in basso, basti vedere la scena in cui vengono puniti i funzionari che il Signor K. aveva minacciato di denunciare, in quello sgabuzzino con la luce penzolante che vengono frustati continuamente dalla cinta di questo imponente boia.
O ancora la scena a casa di Titorelli, pittore di fiducia dei giudici a cui K. si rivolge per disperazione come ultima speranza per uscirne illeso, un momento di cinema altissimo con le ragazzine li a spiare continuamente e i continui particolari della camera sempre sull'occhio inquietante di ognuna di esse, dando quella sensazione di essere perennemente controllati, anche dentro una sfera privata, creando una paranoia e un'alienazione fortissima, e poi, tutta la fuga di K. in quel corridoio, giocando con le luci a mo' di veneziane, è qualcosa di sublime per gli occhi.

Ma le sequenze geniali sono infinite, gli elementi surreali incorporati contribuiscono a rafforzare i significati dettati dalla narrazione, basti vedere i momenti in cui K. gira per il tribunale e trova le persone in attesa, fermi come automi che non riescono a fare nulla se non aspettare passivamente la propria sorte, o ancora i momenti in cui sono visti i funzionari alle prese con la burocrazia, con questi scaffaloni mastodontici che impallano la vista di qualsiasi cosa e loro alienati con lo sguardo perso nel vuoto, o ancora le pratiche nello studio di Hastler, l'avvocato a cui K. si rivolge che sembra praticamente il deposito di Paperon de Paperoni però con le pratiche giudiziarie al posto delle monete, potrebbe tranquillamente farci una nuotata lì in mezzo. La parte poi con Hastler e la sua assistente è incredibile pure, soprattutto quando entra in gioco il personaggio di Bloch, ormai divenuto dipendente dall'avvocato, addirittura ne ha cinque, intrappolato come un servo a casa del proprio avvocato, che lo fa addirittura dormire nel sottoscala, probabilmente sta lì per disperazione perché gli sembra l'unico modo per difendersi dalla legge che lo cerca continuamente, non avendo più nemmeno una libertà né una vita privata, momento altissimo che accresce ancora di più la paranoia.

E ci sarebbe ancora da andare avanti e avanti, Welles qui registicamente è a livelli divini, regala primi piani stranianti, campi larghi con i grandangoli che tendono a distorcere l'immagine - quanto è bello il campo largo con tutti gli impiegati dell'ufficio dove lavora K. messi in schiera? Altro momento che rimarca l'alienazione dell'uomo moderno - ma anche pianisequenza stupendi visivamente, vogliamo parlare della camera che segue la coinquilina di K. mentre porta via il suo bagaglio? Così sporco che va dietro alla fatica di trascinare il bagaglio, rendendo il tutto quasi demenziale, mentre si è rapiti dal dialogo tra i due, ma ce ne sono parecchi altri.

Il quadro finale è un viaggio assurdo all'interno dell'istituzione che regala delle atmosfere di paranoia e inquietudine che raramente sono riuscito a trovare da altre parti, con un soggetto efficacissimo messo in scena in maniera sublime, è uno di quei film dove la rappresentazione e gli elementi semantici danno un'immensa forza impattante alle sensazioni che vuole trasmettere, alla fine di ogni visione mi sento come inghiottito da questo mondo torbido e senza la minima speranza di uscirne fuori, semplicemente un capolavoro.

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