Recensione offside regia di Jafar Panahi Iran 2006
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Recensione offside (2006)

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locandina del film OFFSIDE

Immagine tratta dal film OFFSIDE

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Immagine tratta dal film OFFSIDE
 

Chi sarà  mai quel ragazzino un po' strambo seduto in silenzio in un angolo di un autobus pieno zeppo di tifosi urlanti diretti allo stadio? In realtà non è un ragazzo, ma una ragazza travestita da uomo. E non è la sola, dal momento che la passione per il calcio accomuna tante donne iraniane. Prima del calcio d'inizio, la ragazza viene arrestata e rinchiusa in una specie di recinto, proprio accanto allo stadio, insieme ad altre donne tutte travestite da uomini.
(Fonte: MondoCinemaBlog).

Se è  vero che la distribuzione cinematografica italiana fa acqua da tutte le parti, accumulando solitamente un numero spropositato di pellicole "interessanti" solo in un ristretto periodo dell'anno e se consideriamo il fattore "sole primaverile inoltrato" come ulteriore deterrente per gli spettatori, è indiscutibile il fatto che alcuni film preziosi e invisibili emergano dagli impolverati scaffali solo adesso. E' il caso di "Offside", presentato ben 5 anni or sono al Festival di Berlino e vincitore dell'Orso d'Argento. In tutta la regione Toscana, a oggi 13 di Aprile, viene proiettato solo al Cinema Adriano di Firenze (tanto per ribadire fino a che punto sia arrivato l'irreversibile declino culturale).

Forte di una linea di pensiero libertaria e acuta, la pellicola di Jafar Panahi supera la linea dei militari difensori della giustizia e va spontaneamente in fuorigioco, oltre la linea di quel confine che sotto i regimi integralisti sarebbe meglio non valicare. Il regista, senza l'uso di troppe amplificazioni, si inventa un carcere all'aria aperta: sfortunata profezia del suo futuro, visto che lo scorso dicembre è stato condannato a sei anni di reclusione perché ritenuto colpevole di aver fatto propaganda contro la Repubblica islamica e il governo. Inoltre, Panahi non potrà lasciare il paese per i prossimi venti anni, né girare nuovi film o rilasciare dichiarazioni di qualsiasi genere ai mezzi di comunicazione iraniani o stranieri. Un bavaglio che sottomette il regista a un silenzio infinito, tristemente ovattato come i rumori provenienti da un campo di calcio quando ci è precluso assistere alla partita.

Ed è  proprio in questa zona esterna superiore al campo sportivo che avviene uno scontro fisico e ideologico tra le femmine, travestitesi per assistere all'incontro di calcio, e i soldatini dell'esercito che difendono una legge che vuole le donne estromesse dagli stadi. Sono signorine che incutono paura perché dannatamente incanalate sulla via dell'emancipazione: fumano, aspirano a fare il militare, vogliono andare nella toilette degli uomini. Minano insomma quelle certezze (che poi sono i punti deboli) dello Stato e dei suoi tirapiedi, facendo vedere al mondo i normalissimi desideri di una generazione e le risorse di un paese per il quale si auspica una futura armonia.

Le forze dell'ordine, nel cercare una minima e decorosa repressione, trovano resistenza anche dalla parte maschile, sono derisi e abbandonati sventuratamente a loro stessi, compresi e compatiti umanamente solo fino a un certo punto; perché i tempi vanno avanti inesorabili e anche i poliziotti giocano ai limiti dell'offside, sostando sul confine tra il dovere e la voglia di essere anch'essi liberi e indulgenti.

La regia di taglio quasi documentaristico indugia spesso sul volto sofferto di un padre anziano preoccupato per le sorti della figlia, sui tormenti e le esitazioni dei militari, tallona i vigorosi sorrisi disarmanti di alcune ragazze "infiltrate", per poi concedersi alla gioia e al giubilo al termine dell'incontro sportivo con il Bahrein. Il racconto, sviluppato quasi in tempo reale, passa da una realtà drammatica a un piglio quasi sarcastico e un po' ammorbidito, quando si trasferisce tra i festeggiamenti per le strade, dove si canta e si balla, tutti riuniti a gridare il nome del proprio Paese. Alla fine si aprono anche le porte della prigione-pulmino, ma c'è il timore che si tratti di una libertà effimera: tra il luccichio di fari e lo scoppio dei petardi, la strada resta segnata e il richiamo della voce del padrone sembra essere già lì, pronta per le sue opposizioni.

Ispirato a un fatto realmente accaduto alla figlia di Panahi, e attraversato da una grande umanità e semplicità, "Offside" è disinvolto e confidenziale al punto giusto; narra splendidamente le problematiche sociali attraverso le gesta di chi va allo stadio per sfogarsi dicendo qualche parolaccia, vestendo le maglie del Brasile o dell'Inter (temporanea immedesimazione per sfuggire la realtà?), o in alternativa camuffandosi nella speranza di essere invisibili alle restrizioni, come ultima risorsa per un breve giro di giostra. Attendiamo fiduciosi che il regime italiano si uniformi a quello iraniano e, tra boutades rimbalzanti tra le aule giudiziarie e quelle parlamentari, inizi una vera e propria inibizione discriminatoria. Qualche illuminato ministro potrebbe far notare la somiglianza dei colori delle bandiere, e insistere per un tollerante e iconografico decreto.

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Recensione a cura di pompiere - aggiornata al 20/04/2011 14.51.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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