Moloch racconta una giornata di vita (1942) di Hitler in compagnia di Eva Braun, Joseph Goebbels e moglie, nel buon ritiro sulle Alpi Bavaresi. Eva cerca invano un riscontro amoroso nel suo freddo amante.
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In questo ritratto vacanziero e rilassato dell'entourage nazista emerge paradossalmente quella banalità del male da cui Anna Arendt ci ha messi in guardia quasi un secolo fa. Aleksandr Sokurov compie l'impensabile: umanizzare Hitler, trasformarlo in un involucro di vulnerabilità che lo rendono ancor più pericoloso e inquietante. Le estenuanti elucubrazioni propagandiste e al contempo ludiche tenute dal Fuhrer con i suoi commensali portano a galla il vero delirio d'onnipotenza dell'ideologia. Non è sicuramente casuale che il punto di vista assimilato da Sokurov sia quello di Eva Braun, grimaldello necessario allo smantellamento del dittatore in grottesco figuro affetto da paranoia. Il look del lungometraggio, fosco e cupissimo come un progetto di Tarkovsky, trasforma il tutto in un incubo meta-storico dal sapore espressionista.