Dall'atto unico omonimo (1958) di Tennessee Williams: un giovane neurochirurgo ha qualche sospetto sull'ostinazione con cui una ricca vedova gli chiede di fare la lobotomia su una sua nipote malata di mente e scopre un orribile retroscena.
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L'ipocrisia borghese, il suo bigottismo e l'omosessualità. Vidal e Williams devono aver fatto i salti mortali per far digerire una sceneggiatura del genere in tempi dove argomenti così scabrosì erano un vero e proprio tabù. Magnifica tutta la parte finale che rievoca la morte di Sebastian, vero incubo ad occhi aperti. Ottima la regia Mankiewicz nel ridurre un testo così teatrale in forma cinematografica, mantenendo la solidità del testo (senza mai nominare direttamente l'omosessualità) e senza essere imprigionato dalla struttura teatrale. Il trio d'attori completa il tutto con una magnifica Hepburn, una brava Taylor e un Clift meno appariscente ma concreto nel mostrare i dubbi e le perplessità del suo personaggio.