Due fratelli, soli, nell'uno la forza dell'altro, in un mondo antico e ostile sfideranno il volere implacabile degli Dei. Dal loro sangue nascerà una città, Roma, il più grande impero che la Storia ricordi. Un legame fortissimo, destinato a diventare leggenda.
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La sperimentazione dei generi attuata da Matteo Rovere pone lo sguardo sul filone storico-epico, e tira fuori una rivisitazione del mito fondativo dell'Urbe più in linea con il realismo viscerale di un Inarritu che non alla sontuosità post-moderna di un Ridley Scott (tanto meno i barocchismi digitali di Snyder). L'uso del proto-latino si avvicina il risultato finale invece alla filologia di Mel Gibson, condividendone le punte sadiche nelle concitate scene di battaglia. Lo script ha il gran merito di porre l'attenzione sull'eterno secondo Remo (un imponente Alessandro Borghi) e sul suo percorso auto-distruttivo, riuscendo comunque a costruire con la dovuta cura il rapporto con il fratello Romolo, oltre un efficace sottotesto sul peso del destino che muove le decisioni degli uomini. Sorvolando su un terzo atto un po' troppo affrettato, lo spettacolo tiene botta con un'atmosfera ancestrale (a tratti persino da heroic fantasy) che è un piacere per l'occhio.