Jake Sully vive con la sua nuova famiglia sul pianeta Pandora. Ma quando una vecchia, familiare minaccia torna ad affacciarsi per terminare quel che era stato iniziato un tempo, Jake dovrà nuovamente collaborare con Meytiri e l'esercito dei Na'vi per proteggere il loro incredibile pianeta. Jake e Naytiri saranno pertanto costretti a lasciare la loro casa ed esplorare varie regioni di Pandora.
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Preso atto del mio infelice rapporto con l'Avatar del 2009, debbo riconoscere che questo sequel ne rappresenta in tutto e per tutto il potenziamento-miglioramento. Per imbattersi in blockbuster così ambiziosi, dalla forma perfetta e gravidi di emozione e contenuto come questo, bisognerebbe risalire a quel King Kong di Peter Jackson che proprio oggi taglia il traguardo del diciasettesimo anniversario. The Way of Water è una fiabesca odissea di tre ore tra gli arcipelaghi di Pandora, una miscela senza giunture di epopea western e documentario naturalistico, nonché una suggestiva introduzione al culto Na'vi dell'acqua come contenitore di memorie e principio attivo dell'interazione spirituale. Pur continuando a ragionare sul futuro digitale delle immagini, James Cameron rivolge uno sguardo al suo passato di raffinato storyteller e dà forma a una massiccia storia di legami che si creano, consolidano e logorano. I personaggi non sono più le cavie di una colossale ricerca formale, e il loro sentire autentico fa finalmente traspirare la loro connessione con l'habitat. Pur con qualche passaggio forzato o rivedibile, il climax viene orchestrato per confluire in un terzo atto davvero epico, che ripropone con sguardo innovativo immagini che lo stesso Cameron ha contribuito a fissare nelle nostre retine (gli esoscheletri di Aliens, affondamenti degni di Titanic, le bioluminescenze di The Abyss), a riprova del suo genio nel tenersi sempre al passo con i tempi. Il resto lo fa il maestoso word-building di creature marine e fondali, miracolo digitale mescolato alla carne in perfetta armonia.