Una ragazza polacca, Weronica, e una francese, Vèronique, pur non avendo nessun legame, sono uguali come gocce d'acqua, hanno lo stesso amore per la musica e la stessa malformazione al cuore. Per una misteriosa corrispondenza, la francese farà tesoro della tragica esperienza dell'altra.
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Il più affascinante capolavoro di Kieslowski trasmette la percezione fisica che esista dell'altro oltre la materia, lavorando per mezzo di filtri (oro e verde), superfici riflettenti, riverberi, momenti trasognati, una musica sublime, e un generale incantamento (che non esclude le brutture del mondo: attentati, false testimonianze, esibizionismo).
Tutti sperimentiamo la sensazione di sofferenza - in momenti di raccoglimento, di contemplazione; di ispirazione, di solitudine - che scaturisce dall'impossibilità di condividere con altri la nostra interiorità più profonda. L'amore dona l'illusione di superare questa intima solitudine; e in certi momenti l'amore riesce in questo miracolo. Se non sempre c'è l'amore, o può riuscirvi, permane la speranza. Ed è questa speranza che il film trasmette.
Le due Veroniche sono ragazze ingenue; che vivono di sensibilità e hanno bisogno di filtri per non essere turbate dalla crudezza del reale. Il mondo ovattato in cui vivono perciò è simile a una campana di vetro. Tanti davvero i vetri in questo film. Nel magnifico finale, Veronique abbassa il finestrino, e tocca una ruvida corteccia. Il finale mi trasmette la sensazione di un implicito bisogno di concretezza, alla fine raggiunto.
"Il traguardo è quello di catturare ciò che è dentro di noi, ma non c'è modo di filmarlo. Il regno delle supersitizioni, delle predizioni, dei presentimenti, dell'intuizzione, dei sogni, fa parte della vita più profonda dell'essere umano, ed è la cosa più difficile da filmare. Sebbene sappia quanto sia difficile, tento ostinatamente di avvicinarmi a questo mondo" (K. Kieslowski). A mio avviso ci è riuscito: e meglio di chiunque altro.