Hortense, una giovane di colore, che fa l'optometrista, ha da poco perso il padre e sente il bisogno di cercare la sua madre naturale. Le viene suggerito di rivolgersi ad un'assistente sociale che accetta di darle la sua pratica. La donna, costernata scopre che sua madre è una bianca, si chiama Cynthia è una donna triste, che lavora in fabbrica e abita in una malandata villetta bifamiliare con la figlia Roxanne, spazzina. Hortense trova il coraggio di telefonarle e di fissare un appuntamento.
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Il miglior Leigh nella sua comfort zone, quel quindicennio tra la fine degli anni '80 e l'inizio del 2000, tanto per parafrasare la sua ultima fatica 'Turner' in quel periodo realizzava tanti piccoli ritratti riuniti in un unico grande affresco, la sua opera si concentra nel dare risalto alle persone qualunque, e infatti minimalista è la sua regia assorta perlopiù in numerosi piani sequenza, lunghi, ricchi di silenzi e di denso realismo. La classe lavorativa appena uscita dal thatcherismo che amplificò la divisione sociale è fotografata con spirito critico già con 'Belle speranze' ribadito in questo anche se il soggetto è finalizzato a rappresentare i rapporti umani all'interno della famiglia e lì francamente dà il meglio, quell'ultim'ora suffragata nella sequenza della grigliata. Patetismo accolto con equilibrio, credibilità di una storia adita agli slanci emotivi retta da una meravigliosa Brenda Blethyn, nondimeno Marianne Jean-Baptiste che qualcosa di più avrebbe meritato, Leigh raccolse la palma in quell'anno soffiata ai Coen, qualche mese dopo suicidio dell'academy in un'annata in cui era più facile riconoscere la meritocrazia anziché topparla.