per un pugno di dollari regia di Sergio Leone Italia, Spagna, Germania 1964
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per un pugno di dollari (1964)

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Titolo Originale: PER UN PUGNO DI DOLLARI

RegiaSergio Leone

InterpretiClint Eastwood, Gian Maria Volontè, Marianne Koch, Bruno Carotenuto

Durata: h 1,35
NazionalitàItalia, Spagna, Germania 1964
Generewestern
Al cinema nell'Ottobre 1964

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Trama del film Per un pugno di dollari

Un pistolero solitario giunge in un paesino di frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti e per profitto cerca di mettere contro le due potenti famiglie del posto. I Rojo però lo catturano e lo torturano, ma lui riesce a fuggire. Convinti che sia stato salvato dalla famiglia rivale, i Rojo compiono un massacro, al quale il pistolero assiste impotente. Rimessosi in sesto, tornerà per vendicarsi.

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 •  PER QUALCHE DOLLARO IN PIU', 1965
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Voto Visitatori:   8,63 / 10 (245 voti)8,63Grafico
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Voti e commenti su Per un pugno di dollari, 245 opinioni inserite

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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  09/05/2010 16:59:14
   8½ / 10
Sgombriamo subito il campo dagli equivoci. “Per un pugno di dollari” è secondo me il remake di “Yojimbo”, su questo non ci piove. Le similitudini sono tantissime. La successione delle scene è in pratica la stessa e anche il modo con cui sono congegnate spesso riproduce il modello di Kurosawa.
Dato ad Akira quel che è di Akira, PUPDD rimane lo stesso un grandissimo film che riesce a rivelare una sapienza artistica di prim’ordine. Leone ha usato del materiale altrui ma ci ha impresso un’impronta personalissima, cambiando in pratica lo spirito del fim, creando un’unità artistica molto diversa dall’originale.
La prima cosa che salta all’occhio è l’opposto metodo artistico usato per rappresentare le immagini e la storia. Leone usa un metodo estetico, Kurosawa un metodo anti-estetico.
Ce ne accorgiamo fin dai primi fotogrammi di PUPDD, dai titoli di testa, che sono tra l’altro un piccolo gioiello cinematografico. Quella serie di figure stilizzate rosse su fondo nero mentre suona una musica semplice, orecchiabile ma allo stesso tempo epica-eroica, danno un senso di bellezza visivo-musicale che non si dimentica facilmente.
Anche le prime immagini ci dicono che ci troviamo su di un pianeta diverso da quello di Kurosawa. Quelle meravigliose immagini panoramiche della Meseta spagnola, accompagnate dall’onnipresente musica di Ennio Morricone ci indicano subito il registro con cui è concepito il film, cioè quello epico, la contemplazione e l’esaltazione delle azioni e delle immagini riprodotte. Non è solo il paesaggio che Leone usa per dare sensazioni di bello e grandioso, ma anche l’architettura fa la sua parte. Il paese ha degli edifici caratteristici, molto belli. Ci sono dei cortili con archi romanici, anche gli interni degli edifici sono curatissimi, con ricche stanze sfarzose, cucine con grandi focolari, la taverna piena di oggetti. Certo, molti ambienti sono degradati (muri scrostati, sporco dappertutto) ma è un degrado pittorico, quasi caratteristico. Ogni inquadratura lancia un messaggio visivo che colpisce e ammalia il senso estetico dello spettatore.
Kurosawa invece usa un approccio opposto. In Yojimbo non c’è un‘immagine una di un paesaggio bello e piacevole (eppure in altri film ci sono delle bellissime immagini ad esempio del Fuji), il villaggio è anonimo e ordinario, tutto è reso brutto e meschino. Questo per rafforzare la sensazione di degrado completo di una comunità. Lo scopo di Kurosawa è quello di descrivere approfonditamente una decadenza sociale mentre Leone vuole semplicemente esaltare un eroe (e di conseguenza lo spettatore). Kurosawa cerca di far riflettere oggettivamente, Leone di far vivere in prima persona.
Anche nella figura del protagonista ci sono molte differenze. Sanjuro non lo dice ma lo fa capire benissimo che il suo scopo è “liberare” il villaggio da chi lo opprime (l’oste gli ripete in continuazione “non ci riuscirai”) e quindi il suo gioco al rialzo per la paga è puramente strategico. Joe (Clint Eastwood) non rivela minimamente un qualche scopo, anzi implicitamente sembra che gli interessino i soldi o comunque “primeggiare”, che è forse la cosa che conta di più per lui. Ogni interesse etico collettivo è bandito dal film di Leone.
Certo Joe non è “cattivo” e la singola azione buona di liberare Maria Sol e la sua famiglia ha lo scopo proprio di dargli una parvenza di “buon cuore”. Kurosawa utilizza invece uno schema molto più raffinato. Intanto l’unica volta che Sanjuro cede ad un atto isolato di bontà incappa in un disastro che rischia di far saltare in aria tutto il suo piano (un po’ come nei film di Tarantino). Implicitamente Kurosawa ci vuol dire che non è con singoli e isolati atti di benevolenza che si risolvono le situazioni (anzi forse si peggiorano) ma è solo con un disegno complessivo, un’intera vita dedicata a cambiare la struttura sociale che si riesce a risolvere il problema alla radice.
Altra profonda differenza sta nella concezione del “male”. Kurosawa ce lo fa vedere in maniera distaccata nelle sue nefaste conseguenze. Ce lo rappresenta in maniera ridicola, grottesca, degradata fisicamente e mentalmente. Usa il macabro per “disgustare” lo spettatore; infatti una delle scene iniziali è quella di un cane che porta in bocca una mano mozzata, mentre al primo scontro Sanjuro stacca il braccio ad un “bravo”. Per Kurosawa è più che sufficiente e nessun’altra immagine indulgerà più sul violento. Leone invece dà la stessa dignità estetica sia all’eroe che ai suoi nemici. Anche questi hanno l’onore di splendide inquadrature in primo piano e anzi si crea una specie di ideale estetico virile trascurato (barba lunga, sudore, capelli grassi) che avrà un grande futuro nel cinema.
Leone inoltre indulge molto sulla componente sadica di questi “cattivi”, (sigarette spente sulla pelle, tacchi che schiacciano le mani, spari ai piedi) dando loro implicitamente un’impronta nobile (il registro sadico rende più “grande” un personaggio a differenza del ridicolo e del grottesco che lo rende più “piccolo”). Questo aspetto è totalmente assente in Kurosawa.
Leone in pratica “nobilita” il male che nel film di Kurosawa era nettamente condannato. Lo si vede dal personaggio di Ramòn (interpretato in maniera sublime da Volonté, la migliore interpretazione del film) che nel film di Leone ha una grande importanza e un grande rilievo, soprattutto per la sua protervia, furbizia e cattiveria anche qui usate in funzione nobilitante. Il corrispondente in Yojimbo è il personaggio di Uchitora, anche lui scaltro e senza scrupoli, ma che non ha niente di grandiosamente cattivo, semplicemente è innamorato folle della sua pistola (vuole morire con questa in mano) e si diverte semplicemente ad usarla (in maniera poco intelligente). La cattiveria in Leone ha quindi più un aspetto cinematografico-estetico e fa appello al represso dello spettatore. Kurosawa invece approfondisce molto di più e dà un significato realistico ed etico alla cattiveria. Uchitora infatti non viene fatto morire subito ma con una lunga e suggestiva agonia in cui ha agio di tirare fuori il suo animo ed è anche l’occasione per Sanjuro per deplorare chi “spreca” la propria vita, persino all’ultimo istante.
Leone poi utilizza un sistema estetico di ripresa (tempi dilatatissimi, successione di primissimi piani e campi lunghi, commento musicale) che in Kurosawa era appena accennato. Lo si vede nella scena finale. Kurosawa dilata i tempi in maniera misurata, dai campi lunghi passa al campo-controcampo, il suono è quello sgradevole del vento, mentre i nugoli di polvere che avvolgono i contendenti danno l’idea di aridità e morte (gli scontri finali in Kurosawa sono sempre accompagnati da aspetti “negativi”: le imbrattature di vernice nell’Angelo Ubriaco, il fango nei Sette Samurai, gli stagni maleodoranti, il caldo asfissiante, ecc…). Leone riprende Kurosawa ma lo estremizza e soprattutto usa l’enfasi estetica per nobilitare e rendere epici questi “duelli” finali, facendoli divenire il cuore del film, lo scioglimento finale emotivo che “soddisfa” lo spettatore e lo fa uscire contento dal cinema (Kurosawa raramente fa uscire “contenti” dai suoi film).
Il mio parere personale. il film di Leone è visivamente magnifico, bellissimo; la musica di Morricone poi aggiunge una sensibilità particolarissima, grandiosa, epica. E’ un film stupendo che rimane immediatamente nel cuore, non si dimentica, piacerà anche fra 100 anni.
Il film di Kurosawa si intrufola con il tempo nella testa, nella coscienza e lì si pianta e non se ne vuole andare. Le sue riflessioni, i suoi richiami ci mettono con le spalle al muro. Se si accetta il suo gioco, la vita e il mondo diventano qualcosa di cui noi singoli esseri umani diveniamo direttamente responsabili. Anche lui rimarrà sempre attuale nelle epoche future, forse più di Leone (ripeto, mio parere personale).

2 risposte al commento
Ultima risposta 09/05/2010 19.17.57
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