La storia di una grande famiglia alto borghese che ha ormai perso i suoi valori. Specchio di una società votata alla falsità, all'egoismo e all'infelicità. Sullo sfondo, Calais, spazio di transito per i rifugiati.
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Un Haneke amaro e cinico fa i conti con l'alta borghesia contemporanea. La disgregazione familiare non è certo un tema nuovo nel cinema, però lo stile freddo e distaccato del regista austriaco si sposa bene con un nucleo di personaggi incapace di provare umanità o affetto. La freddezza delle immagini evidenzia l'assenza di emozioni. I personaggi sono privi di slanci, rituaii come il pranzo si trascinano nella incomunicabilità, ripiegati su stessi e mai proiettati verso l'altro se non c'è un secondo fine che lo giustifichi. C'è il desiderio di morire (Georges), il desiderio di arricchirsi (Anne), l'incapacità di amare (Thomas). E' una morte interiore che permea tutto il film di Haneke in cui solo il figlio di Anne rappresenta un'eccezione, l'unico personaggio che nel suo disagio prova ancora umanità e più di una volta mette in imbarazzo gli altri membri esponendo la loro ipocrisia. E che dire di Eve: nuove generazioni che avanzano portando tutti i difetti delle precedenti, forse anche peggio, come nel Nastro Bianco.