Preda dell'alcol per consolarsi degli scarsi successi letterari, scrittore in crisi allontana da sé il fratello e la donna che lo ama. Tenta il suicidio, ma la donna non si rassegna...
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Il salto ormai è fatto, nel cambio di registro non ha perso una virgola della sua brillantezza sino ad allora prodigata nel plasmare la commedia, raccoglie gli stilemi del cinema d'avanguardia per modellare il cupo tunnel senza uscita dell'alcolismo in cui si ritrova Milland. Talmente antihollywoodiano nello sconfessare quei ritratti bigotti che il cinema soleva realizzare che la stessa Hollywood ne dev'essere rimasta ammaliata (dato che poi l'autore è uno dei suoi figli prediletti), angosciante la crudezza, il sudore grondare dal volto sfiancato del protagonista al che tutt'ora sortisce gli effetti di repulsione dall'etilismo. Esordisce con quella bottiglia che penzola alla finestra, introduzione che rammenta la più celebre finestra inquadrata da 'Psycho', dipendenza quella che attanaglia Milland non stemperata neanche dal finale apparentemente ottimistico, troppo forte la caduta lungo il tragitto della via crucis, una reputazione sgretolata dall'imbarazzo di aver contratto una malattia che ai più sembra la rogna, le malelingue della gente, trincerato in un ricovero che ha i contorni del manicomio, le insinuazioni notturne dei demoni dell'alcool deformano la visione, Helen è il ponte tra le 2 personalità, lo scrittore e l'alcolista, un attimo di scissione dell'io (tanto per restare in fede coi suoi temi pirandelliani). Altra gemma successiva di una decina d'anni, Preminger tratta la morfinomania dalla quale deve aver assunto i tratti spostati di quest'opera che si posiziona come punto di riferimento del genere, lo stesso Sinatra attinse da questa esemplare performance di Milland i tratti della dipendenza.