daratt - la stagione del perdono regia di Mahamat-Saleh Haroun Ciad, Francia, Belgio, Austria 2006
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daratt - la stagione del perdono (2006)

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locandina del film DARATT - LA STAGIONE DEL PERDONO

Titolo Originale: DARATT

RegiaMahamat-Saleh Haroun

InterpretiAli Barkai, Youssouf Djaoro, Aziza Hisseine, Aziza Hisseine, Khayar Oumar Defallah, Djibril Ibrahim, Hadje Fatime N'Goua, Garba Issa, Abderamane Abakar

Durata: h 1.36
NazionalitàCiad, Francia, Belgio, Austria 2006
Generedrammatico
Al cinema nel Maggio 2007

•  Altri film di Mahamat-Saleh Haroun

Trama del film Daratt - la stagione del perdono

Il quindicenne Atim decide di trovare l'uomo che ha ucciso suo padre poco prima che egli nascesse. Giunto a N'djamena, la capitale del Ciad, si mette sulle tracce di Abdallah Nassara, l'assassino. L'uomo, ex criminale di guerra, è un sessantenne che conduce una vita rispettabile. È proprietario di un panificio e quando conosce Atim, di cui non sa nulla, lo prende sotto la sua ala protettrice e gli insegna a fare il pane. Il legame che si instaura tra i due diventa sempre più stretto al punto che Abdallah vorrebbe adottare il ragazzo...

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Voti e commenti su Daratt - la stagione del perdono, 5 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

guidox  @  06/05/2011 15:07:34
   5½ / 10
l'ho trovato lentissimo e annoiante oltremodo nonostante la durata piuttosto contenuta.
trama poco originale e ancor meno interessante, che vaga fino ad un finale scontato come pochi.
quindi non lo reputo sufficiente, ma in parte lo salvo perchè le ambientazioni e il taglio che ne dà il regista a contorno della storia è sicuramente di gran fascino.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR oh dae-soo  @  06/05/2011 10:18:43
   6½ / 10
Quello africano è certamente il cinema che fa più fatica a venir fuori. Oltre all'ovvia minor produzione (certo non hanno Hollywood nè tanto meno Bollywood...) è più che altro la mancanza di distribuzione al di fuori dei propri confini a far sì che alla fine rimanga un cinema da festival, da rassegne. Non è un caso che anche questo buon prodotto, Daratt, abbia avuto visibilità (pochina in effetti...) soltanto grazie alla Biennale di Venezia. Certo, anche il cinema asiatico e quello indiano fino a poco tempo fa non esportavano quasi niente ma avevano alla base la produzione di una quantità di film enorme (superiore a quella Usa probabilmente) ed alla fine, e meno male, gli argini si son rotti.
Atim ha perso il padre prima ancora di nascere nella guerra civile del Ciad. Scopre alla radio che lo Stato ha concesso l'amnistia a tutti i criminali di guerra. Per Atim è allora giunto il momento di partire e andare a vendicare personalmente l'assassinio del padre. Scopre che il colpevole ha una panetteria. Si fa assumere.
Film che basa tutto (o quasi) sulle dinamiche emotive sia dello spettatore che degli stessi protagonisti. Atim si ritrova a lavorare per l'assassino di suo padre ma in realtà il suo unico scopo è trovare il coraggio e l'occasione per ucciderlo. D'altro canto però Nassara, l'ex criminale, inizia a voler profondamente bene al ragazzo tanto da considerarlo dopo un pò di tempo alla stregua di un figlio. E' qui la forza del film a mio parere. Nassara non ha figli, anzi nel corso del film la sua compagna ne abortirà uno. C'è quindi l'unione impossibile (dato il fatto di sangue su cui cementa le proprie basi) tra un ragazzo che avrebbe voluto un padre e un uomo che vorrebbe un figlio. Atim corre il rischio di iniziare a intravedere una figura paterna proprio nell'uomo che gliel'ha tolta. Si arriva al finale.
Il difetto principale di Daratt è l'assoluta incapacità di cambio di ritmo, sia nel plot che nel coinvolgimento emotivo. Il film si prende i suoi tempi per raccontare ma tranne che nel bel finale (ma prevedibile), non alza mai il livello di attenzione dello spettatore. Sembrano poi assolutamente forzate e un pò banalotte alcune sequenze come l'attesa del nonno nel deserto, l'aggressione al poliziotto e quasi inconcepibile la scelta di far parlare Nassara attraverso un apparecchio che poggia alla gola, il tutto a causa di un tentativo di sgozzamento che aveva subito in passato (simile al povero Mario Frigerio del caso Olindo e Rosa Bazzi per intenderci). Tale scelta dona ancor più lentezza al film e se inizialmente può esser suggestiva, andando avanti stanca molto. Probabilmente vuole testimoniare che anche i carnefici hanno avuto i loro morti e i loro feriti ma c'erano mille modi per farlo venir fuori. In conclusione un bel film consigliato a tutti quelli che amano il cinema delle storie (e della Storia) ma niente che rimanga impresso per sempre.

Beefheart  @  23/11/2007 16:31:12
   7 / 10
Discreto film drammatico che riflette sulla figura paterna, sul bisogno di giustizia, sull'impunità. Più in generale, sulla situazione del Ciad dopo l'amnistia accordata a tutti i criminali di guerra. Una situazione che, oltre ad un forte senso di ingiustizia, può facilmente alimentare spirali di violenza e vendette private. In questo contesto i protagonisti del film si dibattono tra rancori e sensi di colpa, in cerca della cosa giusta da fare. Vivere nell'odio e nel ricordo non è sano, ma dimenticare non è facile. Succede quindi che sotto la luce abbagliante della stagione secca, tra paesaggi rurali e grossi centri urbani, prende forma il dramma psicologico di Atim, che deve decidere le sorti di colui che un tempo fu l'assassino di suo padre e che ora, inconsapevolmente, gli propone di prenderlo sotto la sua protezione. L'intero film si concentra sul travaglio interiore del giovane vendicatore, ottimamente interpretato dal bravo Ali Bacha Barkai, espresso a suon di sguardi e silenzi che non lasciano scampo e ad ogni fotogramma ribadiscono "a gran voce" quanto sia difficile, duro ed eroico prendere in considerazione l'ipotesi di un perdono (o, quanto meno, di una vendetta non consumata) che, una volta tanto, potrebbe interrompere la catena della violenza. Regia priva di fronzoli, recitazione convincente, sceneggiatura scorrevole e funzionante, fotografia luminosa. Nel complesso: meritevole.

Gruppo REDAZIONE maremare  @  15/06/2007 19:19:49
   7 / 10
Visto, oramai un anno fa, all'ultima Mostra di Venezia, un film africano intenso, ove familiare e sociale si intrecciano.
Nonostante alcune ingenuità registiche, il film merita la visione.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  28/05/2007 23:31:38
   7 / 10
Quando avevo commentato "a caldo" questo pregevole film, dopo averlo visto alla scorsa edizione della Mostra del Cinema, avevo delle perplessità che col tempo si sono smorzate.
Il difetto è proprio quando il regista - sicuramente influenzato da Kiarostami - scivola nel melodramma furbetto verso il finale.
La storia del ragazzo che vuole vendicarsi del padre assassinato sullo sfondo di un paese in guerra con se stesso e i personaggi principali sono resi però splendidamente: Atim che lavora come panettiere dove il padrone è l'assassino del padre, la sua forma di ostilità che rischia di tramutarsi in rinuncia e solitudine mi hanno ricordato un bellissimo film dei Dardenne, "Le fils". Lo stesso Nassara (straordinario l'attore) affascina e turba nella sua luciferina crudeltà, ma alla fine vive i contrasti morali come molti altri, pronto ad occuparsi paternamente del "figlio" che lo vuole togliere di mezzo.
Una sorta di moderna rilettura Edipica attraverso la quale i contrasti, gli sguardi, i lunghi silenzi carichi d'odio e di vendetta, dicono più cose di tante immagini.
C'è una forte tensione emotiva in questo film sommesso e indipendente, che lo rende profondo e ricco nella sua sobrietà

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