Tashi, una giocatrice di tennis diventata allenatrice, ha trasformato suo marito Art da un mediocre giocatore a un campione del grand slam. Per risollevargli il morale dopo una scia di partite perse, lo porta a giocare a un evento “Challenger” – uno dei tornei di livelli più bassi nel tour pro – dove si ritrova ad affrontare quello che una volta era un giocatore promettente e ora è totalmente esaurito: Patrick, suo ex migliore amico ed ex fidanzato di Tashi.
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Quando sai travolgere, svolgere, narrare, piegare e guidare le svolte narrative con la sola forza del montaggio, della regia e del sonoro potendo così sfanculare tutte le verbosità allora puoi dire che sai fare cinema e Luca Guadagnino sa decisamente fare cinema. I know [mixed]: parliamo di un rettangolo di gioco dove si giocano x vite in x anni, dalle casse Atmos martellano le capacità spaziali di Trent Reznor e Atticus Ross e se notate bene nel loro cyber-punk elettronico c'è spazio anche per i rimbalzi della palla sulla rete della racchetta perché Challengers è un film in perenne erezione (e "il tennis è una relazione"), egoriferito, avanti e indietro, un coito interrotto continuo capace di costruire il desiderio e la tensione del desiderio stesso anche solo con i flashback, sia esso per una carriera, per una donna, per una rivincita, che per un gioco, cinema moderno e sensuale, che non sai di dover davvero giocare fino a quando non sei tu la pallina (vedrete soggettive pazzesche). Rapporti umani e potere, umani, troppo umani, dalla gravità di una prospettiva impossibile.