Sopravvissuto ad un incidente aereo per la sesta volta in tutta la sua vita, il magnate internazionale Zsa-zsa Korda tenta di ricucire i rapporti con sua figlia Liesl, nel frattempo diventata suora, che non vede da troppo tempo.
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"La morte è dappertutto nell'opera di Wes Anderson, e più di ogni altra cosa nella sua messa in scena, che è primariamente una natura morta. [...] Il protagonista, eroe bastardo, passa l'intero film a fuggire la morte, incarnata in maniera più letterale e in un aldilà in bianco e nero, un Giudizio Universale in cui siedono Charlotte Gainsbourg e Bill Murray" (Marzia Gandolfi). Stralegittimo se si recensisse "Asteroid City", il suo "Settimo sigillo" dove l'amalgama era perfetto e ogni elemento contribuiv'a tale esito, mentre stavolta proprio no. Tropp'i focus centrifughi, dall'anticapitalismo all'irrisolte questioni familiari, e troppo sconnessa la trama che relega in una linea narativa parallela le componenti riguardanti la finitudine. Primi 10 minuti a parte, è lo stesso regista che nei titoli di coda deve chiarire che il suo uso dei piani fissi frontali sono delle nature morte, la comparsa del teschio come "memento mori" è discontinua e occasionale, idem gl'inserti trascendenti alla Paradzanov o alla Powell e Pressburger (almeno qualcuno, Roberto Manassero e Mattia Petrillo, se n'è accorto). Inoltre, e forse per la prima volta, il suo umorismo non è né dark né macabro: è sterile.