synecdoche, new york regia di Charlie Kaufman USA 2008
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synecdoche, new york (2008)

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locandina del film SYNECDOCHE, NEW YORK

Titolo Originale: SYNECDOCHE, NEW YORK

RegiaCharlie Kaufman

InterpretiPhilip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Michelle Williams, Samantha Morton, Hope Davis

Durata: h 2.04
NazionalitàUSA 2008
Generedrammatico
Al cinema nel Giugno 2014

•  Altri film di Charlie Kaufman

Trama del film Synecdoche, new york

Il film racconta di un regista teatrale che cerca di mettere a posto i suoi rapporti con le proprie donne facendo uno spettacolo teatrale in una New York ricostruita al chiuso in scala 1:1.

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Voti e commenti su Synecdoche, new york, 67 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento williamdollace  @  01/07/2014 23:08:26
   10 / 10
Con – Synecdoche, New York – Charlie Kaufman architetta il suo capolavoro mostrando brutalmente la natura umana in tutta la sua interezza, senza false gerarchie di ottimismo costruito a tavolino, bensì mostrandoci gli intestini paranoici di Caden Cotard, un regista teatrale alle prese con l'ambizione di creare la più monumentale ["Non accetterò nient'altro se non la brutale verità"] e ipocondriaca rappresentazione teatrale [e alla fine non c'è altro che la più grande della rappresentazione che contiene tutte le altre, la vita].

Kaufman dirige Cotard con la "sindrome del cadavere che cammina", con i suoi escrementi estremamente analizzati, fegato, matrimonio, occhi, tutto è morto o sta morendo, come l'inserirsi le lacrime meccanicamente per piangere di Cotard, prepararsi a piangere ON, come lo spettatore che entra e si siede davanti a Synecdoche si prepara alle lacrime, a morire altre due ore, a morire ancora, a morire meglio.

Il tentativo di suicidio con il quale Caden rifiuta il posto del suo corpo nel mondo, Caden come Abiura del suo corpo Marito di Adele Lacuna Negazione della sua vita che ritrae minuscole opere d'arte mentre per tutta contrapposizione Caden crea monumentali set all'interno di monumentali set all'interno di una città la cui vista ci è interdetta, per rappresentare, lì, chiuso e imploso qual'è, l'intero mondo, l'intera vita, nelle sue contraddizioni e fallimenti, nell'orrido spettacolo di miserie, scelte sbagliate e mancate azioni che siamo.

Scanditi dalle speranze che si dissolvono tanto quanto il tempo passa, massacrati senza scampo, ingoiamo e assimiliamo la paura ingoiando manciate di pillole, controllando sintomi e segnali, ordinando e pulendo per dare un senso all'inquietudine di vivere uno spazio, che non è luogo, ma la mappa del vuoto radicato nella discesa vertiginosa che è la pancia, una pancia in un corpo, un ammasso maleodorante di tubazioni, ossa e liquidi infettabili.

E Caden, zoppo meraviglioso vecchio essere umano.
Ogni bagno in cui si sofferma è la camera di regia della sua Città fantasma.

Finiamo la vita sbrindellati, con i corpi claudicanti, a pezzi, senza arrivare in nessun posto, "la fine è scolpita nel principio", sempre. Piangiamo del nostro disagio a vivere qualsiasi situazione, con chiunque, con le speranze e tutto l'amore ammassate in una scatola rosa schiacciata e abbandonata nella spazzatura, regali troncati nei ricordi sbiaditi, quell'amore che avevamo intravisto e che non abbiamo mai inseguito, coltivato, colto, nemmeno avendolo fianco a fianco, una telefonata che non squilla in una casa che costantemente brucia, che brucia da quando ha iniziato ad esistere.

Ed è qui che si consumano i desideri, perché il tempo passa e distrugge tutto (Gaspar Noé, Irréversible) e tutti, comunque, chiunque, ovunque. Non possiamo sopravvivere al tempo mentre sopravviviamo a noi stessi, mai in pari, mai giusti, mai soddisfatti. "Ora so come farlo" – "Die" (Muori).

E Caden, il suo cuore che si spezza in quello di Sammy, a cui ordina di alzarsi e continuare a respirare, una vita devastata mancata, la perfetta simulazione di una fine (quella di Caden) da Sammy ma già avvenuta perché già a quel punto Caden è un morto che vive (ancora la sindrome omonima), che vive nella paura della Morte morendo, come noi, che con e come lui stiamo morendo – Ora.

Sammy è il corpo sopravvissuto dentro il corpo morto di Caden che ancora sopravvive, solo, "tu non hai mai guardato nessun altro che te stesso."

Tutti, da nessuna parte, tutti insieme.
Just a Little person.

Le foglie dal braccio di Olive cadono come il disincanto degli ultimi respiri, un perdono che non c'è, imperdonabile, disadattamento linguistico come il silenzio che compone ogni giorno dei nostri giorni sparsi, rotti fra le righe, magici come spasmi, incontrovertibili, interdetti, con la musica incorporata da Piccole Persone, con i colori e un set monumentale in canna sopravvissuto a due decenni di accoglienza assassina.

Monumentale architettura del Cinema come la vita, la vita come un Set all'interno di un Set all'interno di un Set, Kaufman che dirige se stesso aggirandosi sul set dirigendo Caden che dirige se stesso e Sammy che dirige quello che sarebbe voluto essere Caden vivendo ciò che lui è impossibilitato a vivere e tutti che dirigono tutti, tutt'intorno, tutti, insieme, noi spettatori a sua volta dentro il gioco della finzione nella nostra vita che si consuma nella poltrona, tutti soli, con i passaporti timbrati soltando dalle nostre cicatrici, ognuno per ognuno – Ora.

Come diciassette anni di spazzatura di set e vita accartocciate abbandonate su un marciapiede fasullo diventato radice. E ancora corpi giocattoli che cadono impastandosi al cemento come Sammy. Non tu Caden – io l'ho fatto davvero – sembra dire con le lacrime frantumate al suolo. Urla nella notte, tremolii alle gambe, coiti interrotti, lacrime sessuali a vicolo chiuso che si consumano nella paura di non saper fare e in quella di non aver saputo farlo in quella di non avrei mai dovuto farlo o del perché non l'ho mai fatto prima, mai un fenomeno di presenza in questa patria di Assenza che brucia all'infinito è Synecdoche NY.

E' un corpo reato, un corpo umano, che arde come una casa in fiamme.
Una telefonata mancata.
La rabbia che si fa silenziosa. Tombale. Onesta.
Piccole persone, grandi desideri, che muoiono interrotti e ininterrottamente, ed è solo questo, il grande fallimento che è la morte.

Sentiamo che manca qualcosa, che quel qualcosa non è mai arrivato. Speriamo e ci disperiamo nello stesso tempo. Non abbiamo paura di morire, ma di morire senza essere stati speciali, senza aver realizzato quel qualcosa che aspettiamo da una vita che ogni 5 secondi muore per 5 secondi. Ora. Ora. Ora. E la morte è la la fine di quella speranza, è il poster del rimpianto, uno per tutti, tutti per tutti. The specifics hardly matter.

Monumentale Affresco del potente spettacolo della Vita e della Morte saldati alla registrazione impervia di Ogni cosa, ogni apoftegma impossibile.
Vita che finisce, Cinema che si avvera.
Dove tutti magicamente, per un istante, siamo collegati.
Everyone is everyone.

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Ultima risposta 03/07/2014 11.38.36
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