Justine e Michael stanno per sposarsi, il ricevimento si terrà nella casa della sorella di Justine, ma proprio in quei giorni un evento catastrofico minaccia la terra ed i suoi abitanti...
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succede poco. Nonostante ciò la fotografia e le stupende immagini consentono di non annoiarsi. È certamente un film che richiede un certo stato d'animo per essere visto. Infatti gli atteggiamenti che rivelano una totale inerzia e indolenza da parte di Justine e i suoi cambiamenti d'umore, oscillante tra la serenità e gioia per il matrimonio appena celebrato e la totale apatia, rischiano di far apparire questo personaggio semplicemente irritante, soprattutto nella prima parte del film. A ciò si aggiunge un gruppo di personaggi altrettanto strampalati, e il rischio è quello di provare un senso di frustrazione per dei comportamenti al limite dell'inverosimile. Fortunatamente una tale composizione di umanità è stata sufficiente a destare la mia curiosità di spettatore,
Nella seconda parte del film sparisce del tutto quell'ambivalenza di comportamenti di Justine, sebbene ci sarà comunque un'evoluzione, e il tono si fa più definito man mano che ogni pezzo va al suo posto. Aldilà delle stupenda fotografia, e della regia, la quale può però risultare fastdiosa a causa delle inquadrature incerte e traballanti, il film lascia qualcosa di grande. È un inno alla razionalità nel nichilismo. In quest'ottica, Justine -apparentemente malata di depressione- è l'unica sana in un mondo di malati di vita. Ella è triste perché sa. La conoscenza le permette di squarciare il velo che non consente agli altri di guardare all'essenza delle cose. Ella sembra essere l'unica consapevole della finitezza della propria vita, e di quella di tutti in verità. In questo senso il rapporto sanità-malattia viene ribaltato, e la sanità, la normalità comunemente detta, altro non è che la sospensione dello spirito razionale. Perché l'uomo non può vivere contemplando la morte.